Borgo di origine medievale che sorge alle pendici orientali dei monti Alburni ed è considerato uno straordinario connubio di storia e natura.
Circondato da querce, castagni e aceri, conserva nel suo centro storico il Convento di San Onofrio, antica Abbazia benedettina risalente al XII secolo che permette di fare un tuffo nel passato. Passeggiando tra le viuzze del paese, è consigliato sostare presso qualche attività per assaggiare le deliziose fragoline di bosco, simbolo tradizionale di questo territorio. Per gli appassionati di astronomia o più semplicemente per i romantici, da non perdere è la visita all’osservatorio astronomico che sorge a 1169 metri d’altezza. Considerato tra i più importanti d’Europa, è il luogo ideale anche per chi vuole trascorrere una serata d’estate ad ammirare le stelle.
L’ultima settimana di giugno, Petina onora uno dei suoi preziosi prodotti tipici con la “Festa della Fragolina di Bosco”.
Sui villaggi della Valle del Tanagro (Campus Atinàs) bisogna sempre far capo a V. Bracco che, nelle sue numerose pubblicazioni, ci offre un quadro quanto mai vivo del territorio. In esso non mancano cenni sulla civiltà del Gaudo dei villaggi prossimi a Petina, come non mancano testimonianze dell'età romana: dalla via Popilia, che V. Bracco attribuisce a Tito Annio, alla notizia sul passaggio per il Vallo di Spartaco con i suoi e poi di Alarico, Belisario e dei Longobardi.
Il documento più antico che riguarda Petina, conservato nell'Archivio del monastero cavense, è del 1174. Il cenobio concesse un mulino sul fiume Negro (Tanagro) a Ugo, signore di Petina, per la decima annua in natura, col patto che dopo la sua morte il mulino doveva essere restituito al monastero. Nell'anno seguente lo stesso Ugo, figlio del fu Ottaviano, donò al monastero cavense alcune terre da lui possedute nel tenimento di Polla, e propriamente in località Taliata, detta Sorbo, sita nei pressi della starza del monastero. Nel 1192 Ruggero di Laviano donò al monastero di Montevergine una chiesa, due mulini, una gualchiera e i diritti di acqua, pascolo e di legnare.
II borgo (Massa) di Petina è ricordato nella bolla del 4 novembre 1197 di Papa Celestino III ed era soggetto all'abate del locale monastero di S. Onofrio, protettore di Petina. Nel 1213 Roberto, feudatario di Auletta, donò due orti con ulivi e altri alberi da frutto siti nel territorio di Massa. Nel 1269 venne concessa una speciale provvisione al feudatario Francesco «de la Petina», perché non possedeva il feudo per intero. Nello stesso anno si fece obbligo al predetto feudatario di indicare uno dei 40 militi da inviare in Romagna. Lo stesso feudatario venne poi nominato custode di strade e passi. Da un Registro si ha notizia dell'assenso al matrimonio di Giacomo di Petina con Maria, figlia di Giovanni Scilleto, milite di Salerno, che portò una dote di 120 once d'oro. Il re ordinò a Ruggiero di Sanseverino, conte di Marsico, e a Pandolfo di Fasanella di assistere alle nozze quali testimoni. Si ha anche notizia del fatto che poiché Apetina aveva occultato 5 fuochi fu ordinato il recupero di un’oncia e sette tarì e mezzo.
Nel 1303 l'abate di Montevergine concesse a un vassallo abitante nel casale di Massa un terreno alla Pretora per un tarì d'oro; nel 1316 il priore Romano concesse ai vassalli del monastero, Giacomo della Mora e Ruggiero Alemagna «della Massa», una terra sita nella Valle di Don Orso per 4 once d'oro annue che servivano per riscattare il villaggio preso in pegno dal signore Matteo Giesualdo.
Nel 1417 il feudo era in possesso della famiglia Guindazzo che lo alienò a favore di Andrea, Cola, Angelo e Franceschello di Agello di Salerno. Nel 1487 re Ferrante ordinò al regio commissario Ferdinando Vizarra di concedere al capitano di ventura romano Gentile Porcaro, Petina avocata al fisco per fellonia di Nicola Angelo d'Aiello.
Nel 1489 il medesimo re ordinò al commissario Vincenzo Mele di far prestare dai petinesi il ligio omaggio al nuovo feudatario G. Paolo Manfrone, al quale Petina fu avocata nel 1510. Il feudo fu poi venduto a Ferrante Carrafa. Alla fine del '500 il feudo fu venduto per d. 18.000 da Orazio della Tolfa a Giacomo Caracciolo, che possedeva Sicignano, il quale vendette Petina nel 1611 a Francesco di Mauro. Nel 1609 il Sacro Regio Consiglio aveva decretato che i petinesi non dovevano essere molestati nell'esercizio dei loro diritti. V. Bracco ci informa pure della visita del vicario di Capaccio alle chiese di Petina nel 1619.
Nel 1669 il feudo era ancora posseduto da Onofrio di Mauro di Salerno che lo vendette a Carlo Confalone per d. 25.000. Ai primi del '700 il feudo era in possesso di Filippo Trapani (l'aveva acquistato nel 1720 per 34.500 ducati), il quale il 29 aprile 1719 aveva ottenuto il titolo di marchese, titolo che fece poi trasferire su un omonimo feudo in Abruzzo nel vendere Petina (a. 1736) a Onofrio Casetta o Cassetta di Vietri sul Mare, d. 43.000. A Onofrio successe Ciro che morì quando il figlio Francescantonio era ancora minore, per cui la tutela della madre Marina Verardi Leccese. La famiglia continuò a possedere il feudo. Il 3 ottobre 1796, per la morte senza eredi di un discendente (Francescantonio del fu Cesare), il feudo fu trasferito al fratello Carmine Casetta o Cassetta, il quale nel 1806 vi ebbe il titolo di marchese.
L'Antonini cita Abetina solo per segnalare che nel suo territorio si produceva «la manna, la quale è fra le buone del Regno, ma molto più se ne fa su quel dell'Auletta».
LATITUDINE: 40.5335876
LONGITUDINE: 15.373418399999991
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