Frazione del comune di Futani, avvolta in un folto bosco di castagni.
Il paese ha una piccola Chiesa edificata nel XV secolo e ristrutturata nel corso dei secoli XVII e XVIII.
Fuori dal centro abitato vi è la Cappella di Santa Sofia che confermerebbe la presenza di gruppi religiosi bizantini nella zona.
La vicinanza con Cuccaro, oltre a confermare l'origine greco-bizantina di quel toponimo, ci rassicura su quella da kastanon di Castinatelli, che occhieggia tuttora tra il folto di uno dei più bei boschi di castagni del territorio.
Non è certo che il casale preesistesse alla badia di S Cecilia, fondata nel 1022. Si ritiene che esso sia sorto ad opera degli stessi abati del luogo, i cui successori (anche i commendatari) vantavano il diritto di esigere, da chiunque detenesse i terreni circostanti, la quinta parte «di tutti i frutti che vi nascono, purché non siano con altre condizioni conceduti».
Circa la densità demografica di Castinatelli il Giustiniani ci fornisce soltanto i dati relativi al censimento del 1648 (famiglie 15: ab.90) e a quello del 1669 (4 famiglie: ab. 24). Il Volpi non ne riporta la consistenza numerica perché il casale era «esente» dalla giurisdizione del vescovo di Capaccio ancora ai primi del ‘700. Il Galanti ci dice che Castinatelli era abitato da 256 persone, l'Alfano lo ricorda così: «feudo della casa Doria, d'aria cattiva, fa di popolazione 27». Il Giustiniani dice: «Inoggi è abitato da poche afflitte e sconsolate anime, addette solo al lavorio della terra, e si appartiene all'Abbadia di S. Cecilia». La badia ai tempi del Volpi era retta dall'abate di «astinatelli nella stessa Valle [di Novi] D. Nicola Giliberti di Cuccaro, pronipote per sorella del famoso Dottore Pietro di Fusco Regio Consigliero».
In una pergamena è notizia di un contratto stipulato il 4 dicembre 1607 tra il chierico Bartolomeo Vinciguerra e il fratello con Matteo Guido e Cesare Caputo di Poderia.
Abbazia di S. Cecilia
Secondo una legenda, Cecilia avrebbe convertito la sera stessa delle nozze, lo sposo Valeriano che rispettò il suo voto di verginità cui si era segretamente consacrata. Sembra che sia stata decapitata assieme ai martiri Tiburzio, Valeriano e Massimo.
La intestazione della abbazia a S. Cecilia sembra documentata nell'atto di fondazione che l'Antonini assicura di avere personalmente consultato nell'originale testo greco che non gli fu concesso di trascrivere. Nella seconda edizione de La Lucania, curata da F. Mazzarella Farao, una nota di quest'ultimo informa che la traduzione del documento originale era contenuta negli atti di un processo relativo al diritto di patronato dell'abbazia, conservati nell'Archivio dell'Arcivescovado di Napoli. Le notizie fornite dall'annotatore sembrano troppo circostanziate perché se ne possa mettere in dubbio l'autenticità, a parte l'acribia di un grecista quale era il Mazzarella. Del documento originale quest'ultimo trascrive la sola invocazione divina, il titolo e la parte finale in una curiosa traduzione settecentesca riflettente troppo il singolare e conciso formulario dell'estensore greco.
Pio IV con una bolla del 1654 assegnò le abbazie di S. Cecilia e di S. Nazario al Capitolo della Basilica di S. Pietro di Roma che esercitava la giurisdizione spirituale anche sui casali a mezzo di abati locali. Il Volpi accenna a una terza abbazia, quella di S. Nicola, pure soggetta al Capitolo romano, che il vescovo Odoardi, in un suo decreto del 1735, riconobbe «subiecta venerabilis Abatiae Sanctae Ceciliae».
Il diritto di patronato di queste abbazie, che nel '400 era devoluto ai Sanseverino, signori di Cuccaro, passò poi ai Pignatelli di Monteleone, i quali, come baroni del luogo, avevano anche lo jus di nomina dell'abate e del rettore e tutti gli altri diritti pertinenti al patronato stesso. Dopo la vendita della baronia, i Pignatelli, e in seguito gli eredi del ramo estinto dei Monteleone, continuarono a vantare, come per la badia di Pattano, uguali diritti anche sulle badie di S. Cecilia e S. Nazario, nonché su quella di S. Nicola.
LATITUDINE: 40.1487381
LONGITUDINE: 15.304703600000039
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