Frazione del comune di Ascea, conosciuta per i suoi diversi prodotti tipici legati all’agricoltura come gli ottimi fagioli secchi, tra cui la varietà più richiesta è detta “ tabbaccuogni”, i marroni, il buon olio di oliva, il genuino formaggio caprino, funghi, asparagi, more, pomodori, melanzane e peperoni.
Grazie a queste ricchezze del suolo si organizza una ricca e gustosa festa degli antichi sapori a cui partecipano migliaia di visitatori ogni anno.
La prima notizia si trova nel documento più volte citato del 1182, con il quale venivano delimitati i confini dei villaggi appartenenti all’Abbazia di Cava. In esso è detto: «Tenimentum sancte barbare [odierno S. Barbara di ceraso] de la bruca incipit a vallone de la bruca et per ispsum descendit ad flumen de castrimari versus mandiam». Il toponimo ha sempre conservato nel tempo la sua forma originaria.
Dall'Antonini si apprende che ai suoi tempi il villaggio con una «torre all'antica» era abitato da appena 8-10 famiglie. Il Giustiniani chiarisce che la «terra» era «murata con due porte, una verso levante, l'altra verso occidente. In mezzo tiene un’alta torre, e vi si osservano i suoi fossati, quali cose indicano di non essere tanto moderna l'epoca della sua fondazione».
Si è supposto che dal villaggio avesse preso nome la famiglia de Mànnia, signori di Novi, ma il predicato originario della famiglia era de Magnia, come si legge nel primo documento pervenutoci, da cui il de Mannia. Vero è che nei documenti si legge anche di componenti della famiglia con predicati de Magina e de Maina. Ma ogni cognome, come è noto, subiva modifiche nella trascrizione grafica dei documenti posteriori. Si tenga presente che ancora nel '600 la loro ortografia era più che mai opinabile: i cognomi variavano a seconda di chi li portava. Due dati, però, escluderebbero che la famiglia de Mànnia avesse assunto il predicato dal villaggio in oggetto. Il primo è che in ogni tempo il toponimo ha conservato sempre la forma originaria e che solo nel dialetto corrente si dice Mannìa. Il secondo è che il villaggio non ha mai fatto parte dello «stato» di Novi, ma sempre di quello di Castrimaris (Castellammare della Bruca = Velia). Ne è conferma nei documenti che riguardano tale baronia che apparteneva ad Alfano, poi capo della dogana questorum et baronum.
È notizia che re Ferrante vendette nel 1472 a Giovan Paolo del Giudice Gioi e Novi, ma nel 1476 Gioi fu venduta dal re al suo primo ministro Antonello de Petruciis. Questo, già nel 1465 aveva acquistato Rofrano e nel 1471 S. Giovanni a Piro, Torre Orsaia, Bosco e S. Mauro la Bruca riunendo tutti questi feudi nella contea di Policastro, acquistata per 12.000 ducati. Alla contea associò il figlio Giovanni Antonio. Antonello, nominato dal re amministratore regio di Novi, lo comprò con Mandìa. L'acquisto è confermato da una notizia nel prezioso Cedolario di Tesoreria, dal quale risulta che Antonello preferì il pagamento rateale della somma di «seimila ducati». Così anche Gioi, Novi e Mandìa entrarono a far parte della contea di Policastro. Nel 1564 Giovan Battista Carafa, conte di Policastro, vendette, senza patto di riacquisto, il villaggio di Mandìa con tutti i diritti e la sola giurisdizione delle prime e seconde cause criminali e miste di Rodio a Giovan Battista Mottola (notar Pellegrino Fasolino di Napoli, 24 marzo 1564). Dopo, il villaggio seguì sempre le sorti della baronia di Castellammare della Bruca e cioè di Velia.
Solo nella seconda metà del '700 è notizia che Mandìa, con Rodio e i feudi rustici Tropeano e Manchi, appartenevano a Cosma Basile (m. 8 marzo 1757), dal quale i feudi passarono a Francesco (m. 24 luglio 1789). Da questo, per successione, alla sorella Brianna (23 gennaio 1791). A Brianna venne anche intestato (28 gennaio) il feudo rustico Manchi.
LATITUDINE: 40.1548406
LONGITUDINE: 15.248919800000067
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