Comune del parco del Cilento, affacciato sul golfo di Velia e suddiviso in cinque frazioni: Casal Velino, Acquavella, Bivio di Acquavella o Quattro Ponti, Marina di Casal Velino, Vallo Scalo.
Il paese è appartenuto alla circoscrizione della Badia di Cava de’Tirreni dal 1410 al 1973 per passare poi a quella di Vallo della Lucania.
L’origine di Casal Velino è strettamente correlato al nome di San Matteo.
Nel 954 il monaco Atanasio, ritrovate le reliquie del santo, decise di depositarle in una chiesa nei pressi della marina di Casal Velino dopo aver tentato invano di trasportarle in Oriente per farne commercio. Le reliquie dell’apostolo però vennero trasferire prima a Capaccio poi a Salerno ma a Casal velino venne costruito il Monastero di San Matteo presso la suddetta chiesa.
Qui iniziò a svilupparsi un piccolo nucleo abitativo poi a causa della malaria e dei pirati, gli abitanti del casale furono costretti a trasferirsi sulle colline dell’attuale territorio di Casal Velino generando un altro centro abitato, documentato già dal 1063.
Negli anni si susseguirono molti passaggi feudali e tra il 1870 e il 1890 furono completate le strade principali di collegamento con i centri vicini e il ponte sul fiume Alento.
Lo splendore e la ricchezza del borgo sono dovuti da sempre alla coltura dell’ulivo, del fico bianco del Cilento e dell’allevamento caprino, ovino e bovino.
L’economia del paese è caratterizzata dallo sviluppo del turismo balneare con le sue spiagge Bandiera Blu che si sviluppano tra Pioppi ed Ascea.
Il santo patrono è San Biagio che si festeggia a febbraio ma ugualmente sentite sono la festa di Santa Maria Assunta ad agosto e la festa di Sant’Antonio a giugno.
La tradizione vuole che le incursioni saracene e soprattutto la palude formatasi intorno alla chiesa di S. Matteo ad duo flumina avessero costretto gli abitanti della pianura a risalire la vicina collina per un’efficace difesa contro l'anofele portatrice di malaria che, ancora nei primi del '900, infestava la piana di Velia. Ne aveva scritto il Ventimiglia il quale affermò che l'abbandono da parte delle famiglie dei casali di S. Matteo ai «due fiumi», di S. Giorgio e S. Zaccaria avevano formato il nucleo di abitanti che, «uniti insieme», avevano poi costituito «il territorio di Casalicchio». I casali di S. Matteo e di S. Giorgio, però, erano ancora esistenti nel 1339 quando la Badia fittò la gabella di S. Matteo.
Anche il Mazziotti dice dell'abbandono dei villaggi e del formarsi sulla collina dell'abitato di Casalicchio, «ove convenivano anche i frati carmelitani di un altro convento contiguo dedicato alla SS. Annunziata», notizia quest'ultima rilevata dall'inedito manoscritto di F. A. Ventimiglia. Anzi il Mazziotti, seguendo poi D. Ventimiglia, assicura che il toponimo comparve per la prima volta nel processo di reintegra dei beni della Badia del 1276, ordinato da re Carlo. Dell'abitato di «Casalicclo» è però notizia certa già nel 1063, quando proprio colà venne rogata la vendita di un querceto da parte del presbitero Pietro, figlio di Nobellione. Inoltre, già prima della reintegra del 1276, nel Reg. ab. Thomae è notizia del villaggio. Malauguratamente se è chiara menzione «De Casalicclo», manca il reddito del villaggio ricevuto dall’abate Tommaso. Nell'Archivio cavense vi sono ancora due concessioni enfiteutiche, di un mulino per la quarta parte del reddito e di una terra selvosa, per la decima del frutto, con un ortale per dieci grana annui. Anche «Casalichum», con gli altri casali dipendenti dal feudo ecclesiastico di Castellabate, ottenne (a. 1309) esenzioni fiscali. Nell'Archivio cavense vi sono, inoltre, altre diciotto concessioni enfiteutiche, il fitto del casale di S. Matteo, e relativa rinuncia, e ancora altre due concessioni enfiteutiche. Il giuramento di fedeltà degli abitanti di Casalicchio, con gli altri vassalli della Badia,
all’abate Antonio è del 25 aprile 1382. Dai documenti cavensi si apprende pure che Sichenolfo Capograsso di Salerno non era soltanto signore di Acquavella, come vuole il Mazza, ma anche di Casalicchio, Pioppi e Massanova.
Nel 1410 «Casalicholum» è tra i casali dipendenti dal feudo di Castellabate ceduto da papa Gregorio XIII a re Ladislao. Afferma il Camera che nel 1484 re Ferrante concesse Casalicchio con altri feudi del Cilento, tra cui anche Fornelli, a Giovanni di Cunto, il quale, dopo l'arresto e la decapitazione di Antonello De Petruciis, era subentrato nella segreteria reale.
Dal censimento del 1489 risulta che i Curiali erano ancora baroni di Casalicchio (Francesco Curiale ne era ancora barone nel 1522) se i beni di Francesco Guarino e famiglia, tutti morti nel 1501 per peste, «bona sunt sancti Arcangeli et Vincencii Currialis baronis Casalichi» nel 1508. Nel 1591, poi, il feudo, insieme con quello di Castelnuovo, era posseduto dai Carafa, duchi di Laurino. A istanza dei loro creditori i beni vennero messi all'asta e nel 1613 il feudo di Casalicchio venne aggiudicato a Giovan Battista Caracciolo della Giovanna. Carlo e Nicola Caracciolo, minori e perciò rappresentati dal tutore, Carlo Filomarino, vendettero nel 1620 Casalicchio e Castelnuovo per 3100 denari a Pietro Damiano. Alla morte di costui (dicembre 1629) successe la figliuola Prudenza, la quale nel 1634 alienò il feudo a favore di Francesco Blandizio. Da questo l'acquistò la famiglia Coreale, evidentemente per breve tempo, se nel 1640 era già di proprietà della nobile famiglia amalfitana dei Bonito, tra cui Marcello (n. 16 agosto 1631) e Lorenzo, signore di Torchiara, Copersito, Prignano, Melito e Puglisi. Da Lorenzo e Giovannella Muscettola, del seggio di Montagna, nacque Giulio che fu signore anche di Lòria (Orria).
Anche a Casalvelino non mancarono tragici strascichi dell'antimonarchica rivolta napoletana del 1647. In quel tempo era barone del luogo il crudele e sanguinario Giovan Battista Bonito. Il 23 luglio la folla inferocita, assalito il palazzo, s'impadronì del barone squartandolo, ricorda il Capecelatro, e spezzettandone i resti su un ceppo da macellaio. La famiglia, indignata per l'efferato delitto, vendette il feudo al presidente della Camera della Sommaria, Gomez, i cui creditori fecero porre all'asta il feudo, riacquistato (a. 1663) da Andrea Bonito.
Nel 1714 il feudo passò all'omonimo nipote che lo vendette, per 17.500 denari, al duca di Petina, Filippo Maria Trapani, il quale lo cedette al suo primogenito Tommaso. Il 25 marzo 1718, il duca e il figliuolo l'alienarono a favore di Ignazio Barretta (o Barnetta), duca di Sinnari che, a sua volta, lo rivendette ad Antonio Gagliardi, dei baroni di Camella, per 23.150 denari. Da Antonio il feudo passò al nipote Francesco, figlio di Francesco, il 22 febbraio 1783. Figliuolo dell'ultimo intestatario fu, Mattia (n. 24 febbraio 1795 - m. 1872), da cui Francesco (n. 4 settembre 1822 - m. 22 settembre 1908), padre di Mattia Gagliardi (n. 10 novembre 1853), il quale col titolo di nobile e con il predicato di Casalicchio era ascritto all'Elenco dei Nobili e Titolati della Regione.
Il Giustiniani pone Casalicchio a 45 miglia da Salerno ed ad un miglio dal mare, sulla collina il cui territorio produce vino e olio.
LATITUDINE: 40.1907845
LONGITUDINE: 15.111008099999935
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