Frazione del comune di Casal Velino, poco distante dai resti della città di Velia e vicinissima al mare di Marina di Casal Velino.
Acquavella è di origine medioevale, riconosciuta meta turistica in particolare per gli amanti delle escursioni.
Il nome deriva dalle numerose sorgenti d’acqua che in passato venivano utilizzate dai monaci Basiliani d’Oriente. Si divide in due contrade: Capo Casale e Pere Casale.
Nel mezzo sorge la Chiesa di San Michele Arcangelo, risalente all’anno 1000.
Nella seconda settimana di luglio si organizza la caratteristica sagra “re la patana”, dove protagonista di succulenti piatti è un ingrediente povero come la patata.
A luglio si celebrano le festività religiose della Madonna delle Grazie e a settembre.la ricorrenza di San Michele Arcangelo
Notizia del toponimo («in serra de monte qui est super aquabella») è data anche nell’istrumento di divisione della proprietà a Fragina, tra il principe Guaimario IV e i fratelli Guido, conte di Conza, e Pandolfo, conte di Capaccio e Corneto.
Notizie sul villaggio si leggono in altri documenti cavensi, a partire da una donazione del 1092 della chiesa di S. Nicola Confessore, fatta costruire, sotto il vecchio castello di Capaccio, da Gregorio di Capaccio, figlio del conte Pandolfo e dalla moglie Maria, figlia di Erberto.
Tra i molti beni donati, anche la chiesa di S. Michele Arcangelo di Acquavella e altre fatiscenti chiese ivi esistenti con tutte le loro dipendenze. Da un documento cavense del 1114 di Gisulfo, figlio del conte Mansone, detto «de lo riufo», che conferma la donazione fatta all'Abbazia dal padre, è notizia che il conte, insieme ad altri beni di sua proprietà nei distretto di Cilento, aveva donato al monastero anche quel che possedeva ad Acquavella («in aquabella»). Nel 1116, assicura il Guillaume, il duca Guglielmo, figlio di Ruggiero, donò alla Badia anche terre ad Acquavella.
Nel 1118 Altruda di Teano, vedova del secondo signore di Novi, Guglielmo de Mànnia, donò un terreno alla Badia da lei posseduto in tenimento di Acquavella: «ubi proprio dicitur iunctat [...] propinquo flubio qui se dicit Alento». Non meno importante è una compravendita del 1133, e non solo per il termine “residente” che per la prima volta compare in documenti siffatti attinenti al territorio.
L'atto informa dell'esistenza, nelperiodo, di un feudatario nel castrum di Torricelle. Un certo Costanzo, del villaggio, pare si fosse deciso ad alienare anche la sua con la proprietà del fratello Nicola posseduta ad Acquavella, perché Nicola «non voluit manere sub condicioni et in potestate de domno nostro ermanno». Con un suo «preceptum roboratum», il feudatario doveva aver prescritto la procedura da seguirsi in casi siffatti, se Costanzo, «per iussionem de predicto domno nostro ermanno», secondo le disposizioni contenute nel precetto medesimo, vendette l'intera eredità a Giovanni, «filius quondam niceta, residente in casale ubi aquabella dicitur».
Il Venereo richiama anche il privilegio di Federico II del 1231 che modifica le tasse per i vassalli del monastero. Fintanto che rimarranno sotto il dominio degli abati cavensi dovranno esigere fide, erbatico, plateatico, acquatico, ripatico, portolanico, ghiandatico e tutti gli altri diritti baronali, regali, ecc. Più importante però è il privilegio del 1221.
Nel dispositivo è detto dei castelli di pertinenza della Badia, tra cui quello di Castellabate («castrumque cilenti») e dei casali di S. Arsenio, di S. Pietro di Polla, di S. Maria di Pertosa, di S. Barbara di Grasso (odierno S. Barbara di Ceraso), di Tusciano e di S. Barbara di Capaccio. Dal Borrello si apprende poi che dal 1392 al 1433 era signore di Acquavella, Torricelle, Porcili, S. Giovanni, Guarazzano e Castellammare della Bruca, Francesco Capano, parente di quel Mazzeo Capano che aveva acquistato Pollica e casali vicini da Giorgio d'Alemagna.
Nel 1410 il casale venne trasferito, unitamente a tutti gli altri della baronia ecclesiastica cavense, a re Ladislao e, in seguito, tenuto da Carlo Capano con Porcili (Stella), Guarazzano e S. Giovanni. Nel 1463 re Ferrante concesse (27 novembre, Terlizzi) a Roberto Sanseverino il mero e misto imperio, con altri poteri, su tutti i suoi feudi, compreso Acquavella . Al Mazziotti sembrano assai confuse le successive vicende del feudo di Acquavella, specialmente le pretese dei tre feudatari Sanfelice, Capece Zurlo e Capano. «Si narra che verso la metà del secolo» scrive iI Mazziotti «per gravi contrasti intervenuti tra i predetti feudatari, il S.R.C. avesse deciso anche ad ovviare a future liti, che Acquavella sarebbe stata assegnata a quello dei tre che avesse subito depositato il prezzo stimato delle altre due parti, per cui il casale rimase» a Giuseppe Sanfelice, aggiungendo poi che nel 1638 Acquavelia era posseduta da Giansenio Sanfelice.
Nel 1669 Michele Sanfelice fu tassato per tre quarti di Acquavella e per un quarto del Gaudo e Torricelle. Francesco Capano aveva la giurisdizione delle seconde cause, G. Consalvo di Sangro, Francesco e Gabriele Capano della portolania, Scipione del Baglivo per la tassa di un tarì e per un paio di sonagli per il feudo delle Fontanelle (era nel territorio). Da altri documenti si rileva che il titolo di duca di Acquavella era stato concesso (6 settembre 1734) a Michele Sanfelice, il quale già il 30 giugno 1725 era stato insignito del titolo di marchese di Torricelle e signore del Gaudo. A Michele (m. 24 dicembre 1738) successe Giuseppe, dal quale i titoli passarono a Michele (m. 5 maggio 1766), a cui successe un altro Giuseppe (m. 23 aprile 1767).
Dall’ultimo intestatario feudale, e primo ascritto al Libro d'oro di Napoli, Giuseppe, tutti i titoli passarono al figliuolo Francesco. Essendo premorto a questo il figlio Michele, i titoli vennero trasferiti al figliuolo di quest'ultimo, chiamato pure Michele (1 dicembre 1799 - 28 febbraio 1854). Da costui, sposatosi con Beatrice del Tufo dei marchesi di Martino, nacque Francesco Paolo (20 aprile 1832 - 2 novembre 1884), dal quale, Gaetano (Benevento, 5 aprile 1869) che. con quei titoli e con quello di patrizio napoletano, fu ascritto all'Elenco dei nobili e titolari di Napoli.
L’Antonini accenna appena al villaggio ubicandolo «sulla dritta del fiume Alento». Il Giustiniani lo reputava d'aria non buona perché sito tra due colline solcate dall'Alento.
LATITUDINE: 40.2095251
LONGITUDINE: 15.117618600000014
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