E’ un borgo situato nel basso Cilento a 371 metri sul livello del mare e si estende sul versante destro del fiume Alento. E' di natura prettamente agricola e la sua origine sembra risalire a prima dell’anno 1000, così come testimonia un documento dell’epoca in cui compare la scritta “in locum Ruticini”. Il paese è caratterizzato da un centro storico ricco di monumenti di epoca medievale, come Palazzo Lombardi, Palazzo Magnoni, Palazzo Miglino, Palazzo Cuoco con la Colombaia di fronte e la Chiesa di San Michele Arcangelo, protettore della comunità rutinese.
A questo Santo è dedicata la festività più importante dell’anno che si celebra ogni seconda domenica di maggio. Questa tradizione è molto sentita dagli abitanti di Rutino e cattura l’attenzione di molti visitatori.
Prima notizia del villaggio si trova nel leggendario racconto della traslazione dei sacri resti dell'apostolo Matteo da Velia a Capaccio nel 953. Narra la tradizione che alcuni di quelli che trasportavano le reliquie, superata l'erta salita di Rutino avessero manifestato il desiderio di bere e che miracolosamente fosse apparsa una fonte che il Magnoni dice era detta «il fonte di S. Matteo». A ricordo dell'evento i locali eressero poi, come a Capaccio, una cappella dedicata all'apostolo (ora nel cimitero di Rutino).
Prima notizia sicura del villaggio è in una compravendita del febbraio del 1053. Maria, figlia del fu Giovanni, vendette alcune terre possedute «in loco rutigino». Nell'atto è pure menzione dl un certo Giovanni «de ipso loco rutigino». La vendita, secondo le leggi longobarde, venne effettuata alla presenza di un giudice e di tre parenti della venditrice, perché costei, come tutte le donne in età longobarda, era incapace di diritto e perciò non poteva stipulare contratti di qualsiasi genere se non in presenza di un uomo della propria famiglia (padre, marito o figlio) e con l’intervento di un giudice. Notizie emergono ancora in due donazioni, ambedue dell'aprile del 1070. Con la prima fu proposto come fideiussore il presbitero Lando, figlio del fu Giovanni, «de ruticini», il quale comparve anche nella seconda. Nel mese di maggio del 1092, Gregorio, conte di Capaccio e figlio del fu Pandolfo, fratello di Guaimario V, donò alla chiesa di S. Nicola di Capaccio 2l chiese o parti di esse di sua proprietà e parte di un monastero. Offrì inoltre alla stessa chiesa di S. Nicola, quella di S. Matteo «ubi ruticinum dicitur» con tutte le sue pertinenze e quattro locali famiglie con tutti i loro beni. Nell'agosto del 1114, Gemma, figlia del fu Guido, e il marito Nicola, «qui dictus est de nobem [Novi] et filio quondam basili presbiteri», abitante «in roccam que dicitur de lauriana, finibus lucanie», vendettero a Giovanni di S. Mauro proprietà da essi possedute «in finibus cilenti».
Di Rutiginum è ancora menzione tra i feudi restituiti ai Sanseverino nel 1276. Nell'Archivio cavense vi è pure una concessione enfiteutica del 1353 di beni stabili a Lustra e a Rutino per 19 anni, per l'annuo censo di due libbre di cera. Il feudo fu sempre dei Sanseverino, fino al 1535, quando Ferrante Sanseverino dovendo prendere parte alla spedizione contro Tunisi, alienò i feudi di Rutino, Torchiara e Copersito (d. 5500) a favore di Francesco de Rogerio di Salerno, dal quale passò (a. 1538) al figliuolo Gian Lorenzo. Per l'avocazione al fisco dei beni dei Sanseverino, anche i feudi predetti vennero confiscati, in mancanza dell'assenso reale al trasferimento. La Regia Curia vendette poi i tre feudi, con Rocca, a Michele Giovanni Gomez.
Dal Cedolario si apprende che i feudi di Rutino e Monteforte da Francesco Antonio del Mercato (m. 1 maggio 1735) passarono ad Antonio (m. 21 marzo 1767) e da questo a Pietro il 10 maggio 1768. Il Giustiniani, però, seguito dal Mazziotti, assicura che il feudo di Rutino era posseduto dalla famiglia Garofalo con il titolo di duca. Di «Rodino» scrisse il Mandelli (f 101) a proposito dell'incursione dei turchi del 1563, i quali, tralasciando Agropoli, assalirono Torchiara. Gli abitanti di Rutino, con quelli di Prignano e Puglisi, accorsero a difendere Torchiara, ricacciando i corsari «fino a S. Felice».
L'Antonini trae dal toponimo «Rodino» del Mandelli, la probabile origine di Rutino (rodon, la rosa). Anche perché a un miglio dal villaggio «vi fu un'altra abitazione» detta Rodo, Ruda, Ruta, dove ai suoi tempi era la chiesa di S. Pietro, nella quale per antica consuetudine il 25 gennaio (conversione di S. Paolo) e il 29 giugno (festività dell'apostolo) il popolo «va ad ascoltare la messa solenne celebrata dal clero di Rutino». Ma né dell'abitato, né della cappella di S. Pietro fuori l'abitato di Rutino è notizia nei documenti e nei verbali delle visite pastorali. Aggiunge ancora l'Antonini che nei pressi del villaggio era un altro abitato detto “Casatiti” «or pieno sol di rovine e sepolcri antichi». Nella tomba di un guerriero altissimo (i femori erano lunghi «più di due palmi») si rinvenne anche una lancia, acquistata dalla famiglia Magnoni, oltre a lucernine, lacrimatoi, e altro. Alla parte opposta di questo un altro abitato detto «ottaviano e i paesani graziosamente ne contan delle favolette; e la via che ad entrambi conduce, fu detta la via del casale». Anche il Magnoni scrive di mucchi di pietre in località Casatiti, «indizio di esservi state anche un tempo antiche abitazioni».
Per stroncare il banditismo che spadroneggiava nel luogo, il viceré d'Ognatte inviò nel Cilento il giudice della Viacaria Aniello Porzio. Fissata la sua residenza a Rutino, con inflessibile severità il giudice cominciò a punire i protettori delle bande e ad arrestarne e impiccarne i componenti. Pare che la sua fermezza riuscisse a snidare e a punire i malviventi arroccatisi nel Cilento. Non mi ripeto per quanto attiene alle operazioni militari e alla partecipazione di Rutino agli eventi svoltisi nel territorio nel 1848 e anni seguenti.
Il Giustiniani colloca Rutino su una collina a 36 miglia da Salerno e segnala che «in questo piccolo paese del Cilento si ferma la Regia Posta». Nell'articolo della Rocca del Cilento accennai qualche cosa de’ possessori, e talvolta dicesi Casale. Del «casalis Rodini» è notizia anche nella numerazione del 1489, quando il casale era abitato da 95 famiglie con 510 abitanti. Nel 1508 i fuochi, a causa della peste erano solo 78 con 390 abitanti. Delle numerazioni successive si apprende dal Giustiniani 22 fino al 1669.
Va ricordato quanto scrive il Volpi a proposito della peste del 1656 che, come Rutino (da 610 abitanti nel 1648, nel 1669 la popolazione risultava dimezzata con 330 abitanti), colpì duramente tutto il Cilento. «Grande per la strage che la peste menò nel Cilento nell'infausto anno 1656. In Pollica, Celso, Galdo, Cannicchio e limitrofi paesi sviluppassi con tale ferocia che i miseri cittadini, a fine di non restare insepolti, ai primi sintomi del male, si studiavano di cavare una fossa e, chiamandosi a vicenda, si ponevano a giacerle presso, sperando che qualche uomo pietoso dopo la morte ve li avesse sospinti. Di qui l'infinità di ossami che spesso vanno di qua e di la discoprendosi. Nel solo convento di S. Francesco, poco lungi da Rutino, non ebbe adito il morbo pestilenziale: onde quei frati, a perpetuarne la memoria, fecero edificare nel loro giardino una concava e vaga fontana, apponendovi una iscrizione».
LATITUDINE: 40.2996259
LONGITUDINE: 15.07496459999993
VAI ALLA MAPPA GOOGLE MAPS