Il comune si trova su una collina nel cuore del Cilento ed è attraversato dal torrente Badolato.
È molto probabile che esistesse un insediamento a Cannalonga prima dei Mille, fondato dagli abitanti di Tove, un centro vicino distrutto da un cataclisma.
Sulla piazza del paese si affacciano l’antica Chiesa di Santa Lucia con il portale cinquecentesco e il Palazzo Mongroveio. L’imponente Palazzo Torrusio, sorge là dove un tempo iniziava il centro abitato e fu dimora del vescovo che gli conferì il nome.
Il paese offre un paesaggio di incomparabile bellezza con vaste radure di macchia mediterranea e salendo in quota, secolari castagneti, grandi faggete, orgenti ed i laghi artificiali Carmine e Nocellito.
Nel paese si svolge la fiera della frecagnola, una fiera-mercato che dura cinque giorni nota in tutto il Cilento e non solo. E’ un’occasione importante per riscoprire e valorizzare le sue risorse culturali e storiche.
Nel 1700, il rinvenimento in località “Tolve” di alcuni oggetti antichi non chiaramente definiti, indusse qualche erudito a supporre l'esistenza in quel luogo di un nucleo abitativo coevo ai resti della Civitella.
Sembra che il nome antico del luogo fosse “Tolve”, dal latino terra ulvae, ovvero terra dell’ulva, che è una pianta palustre. Questo indicherebbe che esso sorgeva nei pressi del locale torrente, dove appunto cresceva l’ulva. Tuttavia, la scomparsa del toponimo ci impedisce di appurare la veridicità dell’ipotesi.
Il casale, comunque, seguì le sorti della baronia di Novi fino a tempi dei signori di Marzano. Si legge nella Platea dei Celestini che nel 1344 un certo Anselmo Gallitelli di Cannalonga derubò fra Ruggiero da Formia, oblato del monastero di S. Giorgio di Novi. Il Barone di Marzano, conte di Squillace, ordinò al monastero di sequestrare al Gallitelli tutti i beni di sua proprietà. Il monastero entrò così in possesso di una casa situata nel vico Milana di Cannalonga, della metà di un orto, di un «pastino» di olive situato a Buonopera, della metà delle vigne che erano in questa località e di un castagneto «iuxta costas Siotarose»
Il 24 dicembre 1452 G. Antonio Marzano donò al nobile cittadino di Novi Antonio Martirano, il casale di Cannalonga con il diritto della bagliva e la selva della Sergna (odierna Sernia) per l'annua offerta di un paio di sonagli per il suo falcone da presentagli la vigilia di Natale. La donazione fu convalidata dall'assenso di re Alfonso, rilasciato in data 14 dicembre 1453 (pergamena firmata dal re). Quando Camillo Pignatelli entrò in possesso, maritali nomine, della baronia, fece capire ai Martirano che avrebbe gradito rientrare in possesso di Cannalonga, per cui Giacomo, figliuolo di G. Antonio Martirano, gli rivendette il casale con tutti i diritti annessi.
Il 16 luglio 1538 Ettore Pignatelli cedette Cannalonga a Marco Antonio Valletta di Novi con uomini e vassalli e, con la giurisdizione civile, anche il molino, le acque, la bagliva, la mastrodattia e il mercato di S. Lucia, ma con clausola di riscatto. Il prezzo convenuto fu di 1300 denari, dei quali l'acquirente versò soltanto 8oo ducati perché permutò il resto con la Terra e la giurisdizione penale di Angellara. Nel 1546 Marcantonio acquistò anche la giurisdizione civile nonché il privilegio di giudicare nella sua Corte non solo coloro che commettevano infrazioni o delitti nell'ambito del proprio territorio, ma anche quanti tra i suoi sudditi commettevano reati negli altri casali dello stato di Novi.
Nel 1572 G. Battista Farao di Cuccaro, segretario del duca D. Camillo junior di Monteleone acquistò da Francesco Valletta l'anzidetto casale con tutti i diritti annessi («case, huomini, vassalli, renditi di vassalli, cognizione delle prime cause civili, mulino, bagliva, mastrodattia, beni, membri, frutti, introiti, ragioni ed azioni») per il prezzo convenuto di 1000 denari a cui si aggiunsero 40 coronati per il mulino. «Nello stesso anno Camillo Pignatelli, duca di Montilione, vendé al magnifico G. Battista Farao la giurisdizione delle prime e seconde cause di questo casale per docati 400 », confermandogli il privilegio di giudicare i sudditi, come da concessione fatta al Valletta.
Nel 1582 il Farao alienò Cannalonga a favore del genero G. Antonio Longo per 7000 denari, il quale, non avendo ottenuto l’assenso regio, non versò al suocero la somma pattuita. Per questa ragione nel 1599 il feudo ritornò al Farao. Il 26 novembre 1593 il Farao acquistò da Lucrezia Bamonte, contessa di Barletta, e dal suo figliuolo Ottavio Cognetti, anche il feudo di Rofrano. A G. Battista Farao, signore non solo di Cannalonga e Rofrano ma anche di Laureana e S. Mauro la Bruca, alla sua morte nel 1602, successe il figlio Ettore.
Ettore Farao vendette poi Cannalonga al nipote G. Battista Farao, il quale ne prese possesso il 20 settembre 1611. Ma poiché quest'ultimo non riuscì a ottenere il regio assenso, il figliuolo di Ettore, Michele, fece dichiarare nulla l'anzidetta vendita, per cui Cannalonga passò al fratello di G. Battista, Scipione Farao. Il 10 giugno 1632, su istanza dei creditori di Ettore, anche il feudo di Rofrano fu messo in vendita per 24000 ducati. Il prezzo fu fissato dal tavolario Niccolò Maione sulla base di una stima disposta dal Sacro Regio Consiglio.
Il nuovo signore di Cannalonga, Scipione Farao, non avendo figliuoli, istituì suo erede Vincenzo Macedonio che, alla morte di Scipione, prese possesso di Cannalonga. Si spiegano così le poche notizie sul casale nell'estimo Cafaro: «Questa Terra di Novi ha giurisdizione promiscua con il casale di Cannalonga, che fu suo alienato dal quondam Duca di Monteleone di carcerare in territorio, e quel casale è obbligato ogni anno a dare due baglivi per servizio di detta Terra».
Filippo Farao, che aveva sposato Beatrice Tosone di Rofrano, avvalendosi di un suo diritto, ricomprò Cannalonga. Il 27 luglio 1657 Filippo Farao, «Barone et utile Padrone di detta Terra di Cannalonga», decise con il fratello Maurizio di costituire un maggiorascato di 15000 ducati e altri legati al primo maschio o, in mancanza, alla prima femmina che sarebbe nata dal suo matrimonio, «affìnché si mantenghi il decoro della famiglia». Nel 1680 l'unica figliuola, Maria, sposò Toribio Alfonso Mongroveio portando in dote il feudo di Cannalonga e altri beni, valutati per complessivi 30000 ducati. Con Maria si estinse la famiglia dei baroni di Cannalonga, la cui arme era una torre con faro in campo azzurro.
Dalle nozze Mongroveio-Farao nacquero tre figli, di cui Giovanni e Antonio, rispettivamente il primogenito e il terzogenito, morirono prima di sposarsi. L'altro, Filippo, sposò Edvige de Grassi, figlia unica del conte di Pianura, che portò in dote 14000 ducati che si unirono ai beni di Filippo, unico erede dell’intero patrimonio di famiglia. I Mongroveio mantennero il casale fino al 1806, quando la feudalità fu abolita.
LATITUDINE: 40.2441918
LONGITUDINE: 15.297066800000039
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