Del villaggio non è traccia nella lettera con la quale l'arcivescovo Alfano di Salerno ricostituì (1066-1067) la diocesi di Policastro, malgrado che Vibonati ne abbia poi sempre fatto parte. È da escludere l'ipotesi dell'Antonini che vuole Vibonati denominato da un'isoletta che le starebbe quasi di fronte «Vibo ad Sicam e Siccam» e che ubica ivi la Vibone di Cicerone. Già il Troyli aveva fatto giustizia di questa ipotesi quando scriveva «lasciando da parte l'opinione di qualche altro Autore, che per amore della sua Lucania la vorrebbe ne' Bonati; da Vibone diducendolo Vibonati, con una etimologia molto nuova». Dello stesso parere il Soria, più incisivo il Magnoni. Anche il Giustiniani, che pur attingeva tante notizie dall'Antonini, mostrava che nei Quinternioni il villaggio è sempre designato «Bonati seu Bonatorum e li Bonati, o Libonati, come nelle situazioni del 1648 e 1669, e mai Vibonati».
Mancano notizie del villaggio in età normanna. La prima sicura è dell'età angioina e riguarda la concessione a Rodolfo de Lotteris della metà del «casalis Libonatorum». In età aragonese Giovanni Nigro di Policastro ottenne l'assenso sul casale «Bonatorum de provincia Principatus». Nel 1415 Bonati era in possesso di Masello, conte di Ravello.
Il 10 luglio 1552, una flotta di 123 galee gettò le ancora nel porto di Palinuro e propriamente presso la località Oliveto. Il giorno dopo, domenica, verso le 15 i musulmani di Dragut pascià sbarcarono mettendo a ferro e fuoco Policastro e saccheggiarono, poi distruggendoli, i villaggi di Vibonati, S. Marina e S. Giovanni a Piro, mentre alcuni di essi si spingevano fino a Bosco, Torre Orsaia, Rocca Gloriosa e Castel Ruggiero uccidendo e facendo prigionieri gli abitanti.
Nel 1603 Carlo Caracciolo vendette il feudo di Vibonati a Diego Simone per d. 20.300. È notizia poi che Francesco Pertinet l'avesse venduto a Fabio di Bologna per d. 21.000, il quale, a sua volta, l'alienò a favore di Francesco Galluppo per d. 21.300. Il Galluppo vendette poi il feudo a Giovan Camillo Greco per d. 20.300. Costui l'alienò poi a favore del dottor Giovanni Langanario per d. 23.500 nel 1627, il quale lo possedeva ancora nel 1669.
Durante la peste del 1656 G. Battista Ursaya, dei frati minori, nel visitare «gl’infermi in xenodochijo civibus Bonatorum» si ammalava di peste e decedeva nel mese di settembre di quell'anno. Il nipote, frate Gerolamo Ursaya di S. Francesco di Paola, nel 1675 fu nominato arcivescovo di Rossano da papa Clemente X.
Scrive il Giustiniani di aver letto di una vendita (p. 315) fatta nel 1659, per ordine del Sacro Regio Collegio a istanza dei creditori di Niccolò Pignone, a Carlo Brancaccio per d. 20.000. Poi il feudo passò alla famiglia Carafa che lo possedeva ancora nel '700. Il 3 ottobre 1770, Teresa Carafa, figlia di Gerardo Carafa e della congiunta Ippolita Carafa, quale unica erede ebbe l'intestazione di Policastro, con titolo di conte, Fòrli con titolo di duca (il titolo venne trasferito su Ispani, Università autorizzata a denominarsi Fòrli), Libonati, Sapri e Santa Maricina o Santa Marina, insieme con i casali di San Cristoforo e di Capitello. In seguito Teresa Carafa ebbe intestate anche le giurisdizioni di Bosco, San Giovanni a Piro e Torre Orsaia. Teresa aveva sposato il parente Gennaro Carafa, principe di Roccella e vedovo di Silvia Ruffo. Da costei il principe aveva avuto dei maschi, tra cui il primogenito Vincenzo al quale toccarono i feudi della Roccella. Da Teresa Carafa il principe aveva avuto altri maschi, tra cui il primogenito Gerardo che ebbe titolo e feudi di Policastro. A Gerardo seguì Francesco e poi il figlio Nicola e due femmine, Maddalena e Maria Teresa. Nicola, che con decreto ministeriale del 1831 aveva ottenuto il riconoscimento di tutti i titoli e dei predicati, morì senza eredi. I titoli e i feudi di Policastro, Fòrli (cioè Ispani), Sapri, Vibonati e Pardinola con Regio Assenso del 1897 passarono a Maria Severina Longo, figlia di Maddalena Carafa e perciò marchesa di Gagliati e di San Giuliano.
Il Giustiniani ubica il villaggio a 3 miglia da Policastro, ma non dice della distanza da Salerno. Scrive dei suoi fertili terreni, delle eccellenti produzioni di vino e olio e di «fichi secchi, che imbarcano sopra piccioli legni, che a tal effetto vanno ne' due porti, cioè di Sapri e di Scario» e dei suoi 4000 agricoltori.
Va fatto osservare che ai primi dell'800 Vibonati era ovunque noto per la concia delle pelli e per le robuste calzature, c’erano 20 concerie, e l’industria venne incrementata in età francese per le richieste dell'armata. A ciò si deve l'elevazione a distretto di Vibonati, poi declassato a mandamento e sostituito da Vallo come sede di distretto, non solo perché fornì all'armata francese quantitativi maggiori di cuoi e calzature, ma anche per le accoglienze tributate a re Gioacchino Murat quando giunse a Vallo.
LATITUDINE: 40.099976
LONGITUDINE: 15.581786100000045
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