MATONTI

Li Matonti, Matonti. Università autonoma fino alla sua aggregazione a Laureana Cilento (4 km). Da Salerno 64 km.

Frazione del comune di Laureana Cilento, sorta nel medioevo intorno alla chiesa di S. Leonardo divenuta poi S. Maria del Carmine, patrona del paese.
L’aspetto del borgo è quello di un tempo con le stradine, i vicoli stretti, le case in pietra e i Palazzi di prestigiose famiglie del paese.
Da visitare è il “Museo di storia naturale del Cilento” che custodisce collezioni e riproduzioni di habitat locali nonché diverse specie della flora e della fauna del territorio.

VEDUTA DEL BORGO

SCORCIO DEL CENTRO STORICO

CHIESA DI SAN BIASE

CHIESA DI SAN BIASE

CHIESA DELLA MADONNA DEL CARMINE

CHIESA DELLA MADONNA DEL CARMINE

SCORCIO DEL CENTRO STORICO


 Il villaggio era costituito da un insieme di quattro abitati: Matonti, Matontiello, li Vetrali, li Spinelli. Fu appunto questa divisione a indurre il Ventimiglia a ubicare a «li vetrali» di Matonti sia il monastero e la chiesa di S. Biase di Butrano che quello di S. Biase «de Veteralibu» e di S. Elia di Butrano. L'accenno in una pergamena dell'Archivio cavense della chiesa di «San Biase di Matonti» indusse a scrivere che «ita in ruina l'antica chiesa di S. Biase di Butrano si fabbricò la presente, ch'é la Parrocchia in luogo separato da qualunque abitazione in onore del medesimo santo». Della chiesa di S. Biase de Veteralibus è notizia nel noto documento del 1187 a proposito di un confine che passava per l'omonima selva, mentre in un documento del 1129 e in un successivo del 1362 è cenno della chiesa attigua al monastero di S. Biase di Butrano, quando l’«ecclesiam sancto Blasii de Bultrano» venne restituita da Tommaso di Santomagno, vescovo di Capaccio, alla Badia. Poiché nel medesimo documento del 1187 è notizia anche del toponimo «Vetrano», altra deformazione di «vetrali» per il Ventimiglia, è da supporre che anche la chiesa di S. Elia sia da ubicare colà. Ipotesi suffragata dalla notizia del «flumen de lo vetrano», di cui è pure notizia nel documento del 1187, che animava le acque del mulino, oggetto di contesa tra il monastero cavense, l'abate del monastero di S. Maria di Conca e il preposto del monastero di S. Clemente di Salerno.
A Matonti, dunque, oltre il monastero e la chiesa di Bultrano scomparsi, da cui la nuova costruzione della chiesa parrocchiale di S. Biase de Veteralibus, vi sarebbe stata anche la chiesa di S. Elia, il che potrebbe anche fornire una soddisfacente spiegazione dell'esistenza colà dei diversi nuclei abitati. Questi sarebbero stati sotto la giurisdizione temporale e spirituale della Badia, fino a pochi anni fa, quando anche Matonti passò sotto la giurisdizione spirituale dei vescovi di Vallo della Lucania. Dominio temporale perduto con tutta probabilità nel 1410, quando anche questo villaggio, con gli altri dipendenti dalla baronia ecclesiastica di Castellabate, passò a re Ladislao. Ma che il monastero cavense avesse avuto e avesse continuato a possedere beni colà, è indubbio.
Nell’Archivio cavense vi sono ancora due pergamene del ’300 che riguardano Matonti. Una è la donazione del 7 maggio 1330, con la quale il vassallo della Badia Domenico Benincasa offrì alla Badia tutti i suoi beni stabili esistenti colà, l’altra è la concessione di quelle medesime terre, l'anno successivo, da parte della Badia, a «Cangio de li Matonti» per quattro grana d’oro annui. Dal terzo Registro dell’abate Maynerio si rileva che il monastero fittò poi tutti i beni colà posseduti dal 1342 al 1367.
Il feudo, però, era compreso tra i beni dei Sanseverino che lo concessero alla famiglia Calcagno. Nel 1543 era in possesso di Tiberio Calcagno, più tardi di Giovan Battista Albertino. Alla morte di quest'ultimo, la vedova Vittoria Daccio, tutrice del minore Francesco, alienò Matonti (a. 1576) a favore di Orlando Granito che lo cedette (a. 1587) a Giuseppe Griso. Il feudo poi costituì la dote della figliuola del Griso, Vittoria, quando (a. 1596) andò sposa ad Andrea de Rosa. Ma il 5 febbraio 1613 il feudo era posseduto da Domenico Brancaccio. Tornato ai de Rosa, da Luca il feudo passò al figlio Giovanni Antonio e da questo, sempre per successione ereditaria, a Donatantonio e poi ad Andrea (m. 1629). Il figlio di quest'ultimo, Giovan Francesco, alienò il feudo a favore di Diego Quintano, il quale l'aveva acquistato solo per averne il titolo di marchese ottenuto da Filippo IV. Consentì perciò, che le rendite venissero percepite dal venditore.
Naturalmente, il feudo venne registrato nel Cedolario al Quintano, da cui passò alla figliuola Maria che sposò Diego Bernardo Zufia, reggente del Collaterale, il quale ne prese, maritali nomine, il titolo di marchese. Da costoro passò poi all’unica figlia Isabella, la cui figliuola, Anna, ne ebbe dal de Rosa anche le rendite. Con testamento datato 14 febbraio 1689, Anna Zufia lasciò il feudo all’Oratorio napoletano di S. Filippo Neri. Poi sia l'Oratorio che la stessa Anna alienarono i quattro anzidetti nuclei costituenti il villaggio a Gaetano Amitrano, il quale con lo stesso istrumento, acquistò anche il titolo di marchese.
All'Amitrano venne riconosciuto (16 luglio 1702) il titolo di marchese, per cui feudo e titolo passarono al figlio Michele (m. 1 ottobre 1789) e, per successione, a Nicola (23 febbraio 1790). Durante la rivoluzione del 1799, il feudo fu avocato al fisco e sequestrato in danno di Giuseppe Corio, tutore della minore figliastra Gaetana Amitrano.
Revocato il sequestro per ordine della Giunta di Stato (16 gennaio 1801), il feudo passò così, per successione femminile, a Gerolamo Corio, padre di Giuseppe che ne ottenne il riconoscimento legale (rescritto 7 aprile 1828).
Il Giustiniani ubica il villaggio su un colle a 40 miglia da Salerno e con 400 abitanti, tutti agricoltori.

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