PATTANO

Pactano, Pattano. Personale non latino non registrato dallo Schulze, ma cfr. con il toponimo siciliano Patti. Università autonoma col nome di Pattano Sottano fino al 1656, poi Pattano dopo la scomparsa dell'altra Università autonoma denominata Pattano Soprano. Frazione del comune di Vallo della Lucania. Da Salerno 87,5 km.

Frazione di Vallo della Lucania che sorge a 166 m sul livello del mare. 

Questo piccolo complesso prettamente rurale, conserva tracce di storia risalenti addirittura all’anno 993 d.c., infatti è di quell’epoca la suggestiva Badia di Pattano e il Monastero italo-greco più integralmente conservato dell'Italia Meridionale. 

Di antica bellezza è anche il campanile, la cui struttura è ancora in grado di mostrare le linee architettoniche e il gioco ornamentale di evidente derivazione bizantina.

SCORCIO DEL CENTRO STORICO

SCORCIO DEL CENTRO STORICO

CHIESA DI SANTA MARIA ASSUNTA

SCORCIO DEL CENTRO STORICO

BADIA DI SAN FILADELFIO

BADIA DI SAN FILADELFIO

BADIA DI SAN FILADELFIO

BADIA DI SAN FILADELFIO


Dell'esistenza di una chiesa e di un cenobio a Pattano, dedicati alla Vergine conduttrice e patrona (Hodigitria) dei monaci greci, è notizia in un documento del 993 di cui l'Antonini riporta un brano. Un passo tipico delle delimitazioni di confini in documenti del tempo che, malgrado la sua brevità, consente di concludere che il terreno, oggetto della contestazione dei termini tra l'abbazia e un certo Adolisio, figlio di Sigfrido, doveva presumibilmente lambire le rive del fiume «qui bocatur PALISCUS ET DESCENDIT DE S. BLASIO USQUE AD PONTEM DE ISCA». L'autenticità del documento è provata non solo dall'esistenza, nella zona, di insediamenti longobardi, ma anche dal fatto che la badia effettivamente possedeva beni nel luogo indicato nel documento, e precisamente i vasti poderi «chiamati Farna e Saliconeta», come si rilevi da un inventario dei terreni dell'abbazia.

Tali dati, oltre a confermare l’esistenza nella zona di un cenobio che già nel X secolo possedeva un patrimonio cospicuo, mostrano una origine ancora più antica di quel monastero. La fondazione ragionevolmente si può far coincidere con l'arrivo a Velia dei primi monaci d'Oriente per la diaspora seguita alla furia iconoclastica iniziatasi nel 726. E qui sorge il problema del primo insediamento di questi monaci, che difficilmente avrebbero scelto come asceteri le ampie terrazze su cui poi fu elevata l'antica badia. Pare, cioè, che i religiosi greci, sbarcati nella località ove il Palistro aveva già captato il Badolato (il porto di Novi dei  documenti angioini) avessero risalito il falsopiano tra i due fiumi lasciando tracce del loro passaggio in cenobi (S. Nicola) ed edicole, come quella della «Madonna dalle nove porte», così come altri ne avevano lasciati lungo il corso del Bruca, in altre edicole (v. a S. Barbara). Solo dopo la seconda fase ascetica i monaci raggiunsero il luogo detto “la badia”, oltre l'odierno Pattano.

Del cenobio di S. Maria è notizia anche in un documento cavense del secolo XI, e precisamente del 1034, quando il conte Raidolfo chiamò l'egùmeno Nikodemo di Pattano innanzi al suo tribunale itinerante, come arbitro in una contesa tra due monasteri italo-greci «QUI PROPINQUE SUNT ABBOQUE SITU LUCANIENSE FINIBUS». Questione sorta, come si è visto, tra l'egùmeno Aresti del monastero di S. Giorgio (sulla collina «ai due fiumi» nei pressi di Acquavella) e l'egùmeno Brancati di S. Maria «de Terricello» (S. Maria ad Nives).

La tranquillità e il lavoro che i monaci assicuravano alle famiglie, che inizialmente si erano raccolte attorno al monastero, indussero altre ad associarvisi. Superata la fase più acuta delle scorrerie barbaresche, al tre famiglie si organizzarono a sud del monastero, in una località (odierno abitato) che è difficile stabilire se preesistesse o meno all'arrivo di quei monaci. Comunque è certo che i casali divennero presto soggiorno delle «compagnie» di fedeli che, non solo dai villaggi circostanti, si muovevano in pellegrinaggio verso S. Maria, come conferma l'esistenza nei casali di due ospizi (hospitali), uno dipendente dal vescovo di Capaccio, l'altro da quello di Policastro, ove il rito greco era particolarmente diffuso. Infermi e devoti accorrevano da ogni dove a Pattano per venerarvi i sacri resti di S. Filadelfo, uno dei primi egùmeni dell'abbazia, noto soprattutto per la sua carità.

Il monastero aveva acquisiti nel tempo notevoli lasciti e donazioni, acquisti che gli avevano conferito un buon livello di proprietà, tanto che i monaci poterono costruire sulla collina Buonoreparo un altro convento per il loro soggiorno estivo di cui oggi sono rimasti soltanto ruderi.

Il Rocchi ci dà notizia di un certo Giacomo, monaco di Pattano, chiamato da Urbano V a Grottaferrata ed elevato nel 1368 al soglio di S. Nilo. 

Dopo la chiusura del convento, la badia con tutti i suoi beni, venne data in commenda da Paolo II a Giovanni d'Aragona, figlio di re Ferrante, promosso poi cardinale. Da questi la commenda passò a Giovan Battista Petrucci, figlio del primo ministro del re e arcivescovo di Taranto. Proprio a quest'ultimo si deve l'introduzione a Pattano del culto del patrono di Taranto, S. Cataldo, a cui fu elevata anche una cappella, poi dedicata alla Vergine del Rosario, a ricordo della vittoria di Lepanto. Ancor oggi S. Cataldo è il compatrono del villaggio.

Nel 1489 il nuovo abate commendatario Alfonso, figlio bastardo di Re Ferrante (con suo decreto aveva dichiarata la badia di patronato regio), si vide rifiutare dal «notaro Guglielmo de Canosa de Camerota  procuratore dela abbacia de Santa M/a de Pactano» la presentazione dei conti di gestione, per cui fu costretto a ricorrere al luogotenente del Gran Camerario che intervenne il 20 ottobre 1494. Nel 1497 il locale addetto alla riscossione dei dazi sequestrò vele ed altri oggetti ad alcuni marinai, incaricati da D. Alfonso del trasporto «dal porto di Novi» a Napoli delle derrate prodotte nei terreni della sua commenda «per uso suo et de sua casa», per essersi rifiutati di pagare il dazio. 

Ad Alfonso seguì, come abate commendatario di S. Maria (a. 1499) G. Paolo Carrafa, nel 1506 Giovan Luise Carrafa e nel 1542 Giovanni Carrafa. Nel 1575 ne era abate il cardinale Filippo Buoncomagni e nel 1582 il cardinale di S. Sisto. Il passaggio del diritto dai Carrafa ai Pignatelli è documentato dall'epigrafe sul dado della base di un'acquasantiera donata da Gaetano Pignatelli nel 1609 alla badia.

Morto mons. Pignatelli (1647), ottenne la commenda della badia l'abate Antonio Troncone di Pellare che ne aveva fatto domanda a papa Innocenzo X. Nel 1648, però, sembra che il vicario generale della badia, protonotario apostolico dr. Donato Antonio Positano di Novi, ritenendo che il vescovo di Capaccio non avesse giurisdizione alcuna sulla badia, ricorse a Roma. Ma la S. Sede gli proibì, sotto pena di censura e di mille ducati di multa, di chiamare in giudizio il vescovo di Capaccio.

Per quanto attiene ai casali di Pattano, va ricordato che nel 1561 Ettore Pignatelli li aveva venduti, con patto di riscatto e per tremila ducati, alla famiglia di Giulia Capano. Ai primi dell’700 era barone del casale G. Battista Lettieri di Vallo. A G. Battista successe Filippo e poi Gerolamo che era anche barone di Orria e dopo Paolo Lettieri, il quale nel 1762 nominò il dr. Silvestro Amato di S. Barbara governatore di Pattano.

Dice l'Antonini  che «continuando contro il corso del fiume, che ad Oriente da Castelnuovo scorre, trovasi Pattano, che già quasi disabitato, oggi cominciasi molto a ripopolare. Nasce in questo territorio vino così bello, e generoso, che fa invidia ai migliori d'Italia. Era qui una gran Badia di PP. Basiliani, oggi ridotta in Commenda, a cui appartengono i convicini terreni, e boschi di querce».

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