E’ un piccolo paese dell’ alta Valle del Calore salernitano dotato di un interessante patrimonio di bellezze naturali, paesaggistiche e di numerose testimonianze storiche, urbanistiche ed architettoniche che lo arricchiscono rendondolo un luogo incantevole in cui trovare tranquillità e ospitalità.
Il borgo è sorto in epoca medioevale, caratterizzato da vie strette e tortuose e dominato da un maestoso castello medioevale. In epoca antica il paese era chiuso da quattro porte di cui quella occidentale è ancora in piedi.
Nella piazza centrale rimane il ricordo della pietra del cattivo pagatore, comunemente detta pietra chiatta, sulla quale era costretto a sedersi con il sedere nudo, chi non stava ai patti.
Notevole per la sua antichità è la Chiesa di San Ciriaco, risalente al 1100 e non meno interessanti sono il Santuario della Madonna di Costantinopoli e la Chiesa di Santa Maria Assunta.
Sulle sponde e nelle gole del fiume Calore, è possibile intraprendere escursioni molto suggestive verso grotte naturali, strapiombi impressionanti e fittissima vegetazione dove vivono la poiana, il gheppio, il falco pellegrino e l’astore. Scenario ideale per gli amanti della canoa e gli appassionati di trekking.
A Felitto è abbondante la produzione di olio, vino, frumento e frutta varia. Uno de prodotti più rinomati del territorio è il fusillo felittese prodotto secondo l’antica tradizione delle massaie e proposto in più varianti.
Ad agosto viene dedicata una manifestazione a questa succulenta tipicità locale, accompagnata da eventi musicali e folcrore popolare che ogni anno attirano migliaia di persone da tutta la Regione e non solo.
A giungo si festeggia il patrono San Vito, ad agosto San Ciriaco e la seconda domenica di settembre la Madonna di Costantinopoli.
Prima notizia sicura si trova in una lettera di Innocenzo IV del 1248 all’abate del monastero di S. Pietro di Eboli. Il Papa invitava l’abate ad adoperarsi per l'assegnazione di un feudo militare al «dilectus filius Johannes de Philecto miles Caputaquensis diocesis», esule presso di lui a Lione, che aveva avuto confiscati i beni da Federico II.
Costituita la baronia di Cuccaro e Felitto, nel 1269 re Carlo concesse i feudi «castrum Cuttoli [Cuccaro] et Fleoti [Felitto]» in Principato a Guglielmo di S. Luca (ma de sancto Lupo) evidentemente deceduto nel 1271 se in quell’anno il re, attenendosi alle Costitutiones di Federico II, ordinò di fare l’inventario dei suoi beni. È notizia pure dell'occultamento di 12 fuochi, per cui l'ordine di recupero di tre once.
Probabilmente il feudo fu poi ceduto per 80 once d'oro ad Adamo Maurier, con Luculo e non più Cuccaro, quando il Maurier era viceré di Sicilia.
Nel 1300, in considerazione dei danni subiti dai locali abitanti re Carlo II, visto «statum inopem hominum terre Filecti» ordinò che venissero esonerati dalle tasse di qualsiasi genere. In questo periodo ne fu signore Giacomo Marra. Nel 1308 era signore di Felitto, di S. Cipriano e Coperchia Riccardo Domnusco di Salerno e nel 1309 Pandolfo Domnusco. Nel 1336 era barone di Felitto, Santomagno e Piedimonte Traiano Santomagno. Dopo il 1380 ne fu signore Nicola Sannazzaro di Pavia (un discendente del poeta), per avere seguito Cario III di Durazzo nella conquista del regno.
Ai tempi del re Ladislao ne era signore Filippantonio Maramaldo, cui seguì il figlio Francesco che vendette il feudo a Lionello Sanseverino, padre di Roberto conte di Caiazzo. Nel1465 Roberto Sanseverino donò al figlio Giovan Francesco, con il consenso di re Ferrante, anche Felitto, di cui s'investì nel 1536, per la morte di Roberto Ambrogio, la moglie Maddalena.
Pare, tuttavia, che nel 1531 ne fosse signore Michele Serra di Nocera dei Pagani, dal quale l'acquistò, nel 1542 per 8000 denari, Enrichetta Sanseverino che sposò Gerolamo Carafa, secondogenito di Antonio, primo principe di Stigliano.
Nel 1781 il villaggio contava 60 fuochi, ma 1300 abitanti. Nel 1796 il governatore di Felitto, Tommaso Montesano, venne processato per reità di Stato.
Come si è visto nel dire di Castel S. Lorenzo, il titolo di principe di Castel S. Lorenzo e feudo di Felitto fu concesso a Gerolamo Carafa il 14 settembre 1654. Da Gerolamo passò poi al nipote Alvano e da questo a Luigi (il luglio 1785). Alla morte di costui il titolo passò, per successione, al figlio Pietro (n. 1789), il quale, come patrizio napoletano venne ascritto col titolo di principe nel Libro d'Oro. In mancanza di eredi diretti, il titolo passò poi al fratello Domenico Antonio (n. 11 marzo 1800 m. il 11 luglio 1837), padre di Luigi (n. 12 agosto 1824), alla cui morte (16 gennaio 1900) successe I'unico figlio Francesco Paolo (n.12 febbraio 1900).
L'Antonini accenna appena a Felitto «situato sopra un'arida balza dello stesso fiume» (Calore).
Il Di Stefano ci fornisce la descrizione del villaggio nel '700. Esso sorgeva in collina, alle falde del Calpazio in località Vesolo con, a oriente, il castello baronale fornito di un'alta torre rotonda. Il villaggio era cinto di mura e torri rotonde merlate e regolarmente distanziate tra loro, con tre porte (forse anche una quarta in località Calastro, verso il fiume). Nel '700 vi erano ancora due porte con le torri laterali. Il villaggio è sito in un pianoro con vie strette e tortuose, evidentemente per difesa anche dai freddi venti di tramontana. Il villaggio era circondata da un terreno dove, come a Roma al Pomario, era proibito costruirvi e che nel '700 era denominato Barbacane. Il casale si estendeva su un territorio assai esteso, come si leggeva in un istrumento del notaio Vincenzo Paolino di Polla del 30 giugno 1534, ma era povero di acqua potabile; una buona fontana era distante, in località Casale.
Casale, era uno dei tre villaggi che costituivano Felitto. Sul suo territorio si distinguevano: Barbagiano a nord, a sud, e a mezzo miglio da Barbagiano, Casale e, distante ancora un mezzo miglio, Pazzano. Dapprima Barbagiano e Pazzano vennero abbandonati e la popolazione si riunì a Casale, abbandonato anch'esso nel corso della peste che infierì nel luogo dove nel 1591 era una cappella dedicata a S. Maria di Costantinopoli. A Barbagiano era un monastero benedettino con la chiesa di S. Maria di Margheriti (ruderi ancora nel '700) con I'obedientia di S. Giovanni (Santo Janni) a un miglio verso mezzogiorno.
Il monastero, nel sinodo Brancaccio (1629) risulta tassato per 22 carlini annui da versare alla mensa vescovile. Nel villaggio vi erano due chiese parrocchiali: S. Matteo, vicino alla porta sud, e S. Maria Maggiore o dell'Assunta nei pressi del frantoio della chiesa, di cui era già notizia nella piatea della cattedrale di Capaccio compilata dal 1492 al 1494. La chiesa venne trasferita poi dov'è l'attuale da Enrichetta Sanseverino dei duchi di Somma, feudataria locale nel 1546, di cui si vedeva l'arme dipinta sul muro dell'atrio. La chiesa era retta da un arciprete curato ed era ricettizia innumerata.
LATITUDINE: 40.37465639999999
LONGITUDINE: 15.24178649999999
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