Frazione di Capaccio-Paestum è considerata l’ingresso del Parco Nazionale del Cilento e dichiarata patrimonio dell'umanità dall'UNESCO.
Quando si parla di questo antico insediamento della Magna Grecia, i veri protagonisti sono i templi dorici dedicati ad Hera, ad Atena e a Poseidone che con la loro maestosità e perfetta conservazione, dominano tutta la piana a ridosso di una lunga fascia costiera caratterizzata da spiagge di sabbia finissima protette da floride pinete.
Storia e natura accompagnano gli appassionati in un percorso indimenticabile che affonda le sue origini in tempi antichissimi così come testimoniato anche dalla Basilica Paleocristiana e dal Museo Archeologico Nazionale in cui sono esposti con orgoglio numerosi reperti rinvenuti nella zona. Di straordinario pregio anche la famosissima “Tomba del Tuffatore”, unico esempio di pittura ellenica della Magna Grecia.
Lo strepitoso scenario dei templi diventa palcoscenico di eventi culturali di rilievo internazionale ma non mancano sagre di vario tipo tutte improntate sulle prelibatezze gastronomiche locali come ad esempio il carciofo, Paestum.
Già in tempi antichissimi la pianura del Sele era stata toccata da genti egeo-anatoliche, come mostra la necropoli del Gaudo (a 1500 metri a nord delle mura: civiltà del Gaudo). In seguito alla foce di quel fiume si insediò parte di quei spericolati marinai-mercanti egei che, incuranti di pericoli, disagi e avversità, si erano spinti fin nel Lazio e nell'Etruria a cercarvi, per l'esaurirsi del rame, l'insostituibile ferro.
Furono essi che alla foce del Silaro innalzarono un tempio, poi tanto famoso, dedicandolo, com'era costume, alla divinità patria: Hera Argiva. A circa 600 metri dal mare, e su una terrazza utilizzata fin dall'età eneolitica, perché dominante l'ampia distesa del mare e la vasta circostante palude, viveva uno sparuto nucleo di indigeni (Pai-Pais-Paistos), con i quali i sopraggiunti rapidamente si fusero.
Per le scarse notizie pervenuteci varie sono tuttora le ipotesi sull'evoluzione dell'abitato a città: e cioè se per il sopraggiungere di altre genti rodio argoliche, di soli sibariti, o per l'arrivo di quel gruppo di Trezeni che Aristotele ricorda espulso da Sibari, per cui questa ne pagava il misfatto con una tra le più memorabili distruzioni di tutti i tempi (la vittoria arrise a Crotone, nonostante il numero inferiore delle sue forze e la città di Sibari venne distrutta nel 510 a.C., mentre il fiume Crati venne deviato per coprirne le rovine).
Quel banco travertinoso è sempre lambito dalle acque di un fiume (Salso, Capodifiume) conosciuto fin dall'antichità per le sue qualità lapidescenti: sono appunto le sue acque, ricche di carbonato di calcio e di cloruro di sodio, che originarono quella piattaforma di poroso calcare da cui si trassero i blocchi per le mura, per i diversi edifizi, per le trabeazioni e le colonne dei templi.
Non solo, il banco costituì un perfetto complesso antisismico che è riuscito a salvaguardare i templi dal succedersi dei moti tellurici e insieme un'isola strategicamente sicura, e per giunta piuttosto salubre, in quel mare di acquitrini, fornite di miasmi palustri.
Nella pianura pestana continuarono ad affluire genti di Sibari che aveva compreso l’importanza di Poseidonia, quale testa di ponte della longitudinale arteria maestra interna Jonio-Tirreno, strada che aveva costruito per le immancabili attività commerciali che si sarebbero sviluppate verso il Lazio e l'Etruria. Certo è che i rapporti tra le due città furono sempre più stretti se nel 511-510 a.C., a seguito della diaspora sibaritica, per la perduta guerra contro Crotone, le accoglienze ai profughi non si limitarono a sterili per quanto apprezzabili manifestazioni affettive: la città delle rose due volte fiorenti nell'anno fece di più. Posidonia rivoluzionò addirittura il suo sistema monetario aumentando il peso del suo statere e frazionandolo secondo il sistema acheo: fece incidere, con il suo, anche l'episemon sibaritico sulle sue monete.
A Posidonia si effettuava la più tempestiva e perfetta conversione monetaria dell'antichità, specialmente per i riflessi che se ne ebbero nel mondo finanziario internazionale. L'emissione della nuova moneta, infatti, significava il trasferimento nella città tirrenica (figura virile sul D/) dell'alta finanza sibaritica (toro sul R/), rendeva edotti i vari operatori economici di Jonia e di altri mercati, specialmente il valutario del Pireo, della validità dei precedenti impegni dell’impero sibaritico, di cui era sicura garanzia la moneta posidoniate.Di quanto sopra è testimonianza sicura nei resti architettonici.
Non vi sono documenti a Paestum anteriori al '600 a.C. La costruzione di due piccoli templi è della prima metà di quel secolo e della seconda (560-550) è il completamento di quel prodigio architettonico che è l'enneastilo (la cosiddetta Basilica) e della fine del secolo è l'Athenaion (il cosiddetto tempio di Cerere).
Del massiccio arrivo degli esuli sibariti si è vista una suggestiva testimonianza nell'heroon pestano di Is, il mitico fondatore di Sibari. Poi, in un cinquantennio Posidonia riusciva, a cingersi di possenti mura e ad innalzare il tempio di Hera (il cosiddetto tempio di Nettuno, 450 a.C.).
Poi lo splendore della città cominciò a declinare soprattutto per l'occupazione lucana (420-410 a.C.) che durò fino al 273 a.C., quando Roma sottrasse Paestum a quella dominazione. Con Roma Paestum ebbe rapporti strettissimi: nei cantieri di Paestum e di Velia si costruirono molte navi delle flotte romane. Perciò Roma consentì che Paestum e Velia continuassero a battere moneta, Paestum fino ai tempi di Tiberio, Velia prima. Dopo un certo rifiorire nella prima metà imperiale Paestum, come del resto Velia, continuò nella decadenza. Proprio intorno a uno dei suoi famosi templi cercarono di riunirsi gli ultimi abitanti della bella città, facendo dell'Athenaion una chiesa cristiana, di fronte alla quale nacque poi, isolata, la cattedrale dedicata alla Vergine (poi della SS. Annunziata).
A Capaccio Vecchio si era raccolto il popolo scampato al succedersi delle scorrerie saraceniche. Con la popolazione risalirono il monte Calpazio anche i vescovi, i quali, però, continuarono a dirsi pestani, come s'è visto, anche in età longobarda.Nell'Archivio della Badia cavense vi sono alcuni documenti che ricordano Paestum. Il più antico è un inedito del 1041. Con esso Truppoaldo, scriba di Palazzo (sede del governo longobardo) e abate della chiesa di S. Massimo di Salerno fondata dai principi, concede al chierico Giovanni, figlio di Bonoaldo di Conza, e a Giovanni, figlio del monaco Corvo, il diritto di costruire «dua molina» nella proprietà che la «ecclesie abet in locum pestum, ubi ad sanctum basili dicitur», a spese della chiesa entro il mese di maggio, con l'obbligo di versare alla medesima chiesa, dal mese di settembre successivo, ogni anno un certo quantitativo di cereali.
Truppoaldo concesse di costruirvi ancora un altro molino alle stesse condizioni. Del 1130 è un diploma di Todino, figlio di Gregorio signore di Capaccio e nipote di Guaimario IV, col quale dona, dopo la sua morte, un terreno sito «foris hac civitate (Salerno) in loco pesto, quod proprie dalinora dicitur».In mancanza di efficienti abitati non è notizia di signori locali. La pianura appartenne sempre ai feudatari che la dominavano dal castello di Capaccio, sia in età longobarda che normanna e sveva, come nelle età successive.
Dagli inizi del mese di agosto fino al giorno 20 circa
ApprofondisciLATITUDINE: 40.4231513
LONGITUDINE: 15.00716280000006
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