VALLO DELLA LUCANIA

Curnito, Cornitu (luogo ricco di cornioli, i noti arbusti dal legno durissimo e dalle foglie ovali. Una pianta ricordata da Omero, Teofrasto e Virgilio). Sorto dall’unione dei due antichi casali di Cornito e Spio con il nome di Vallo prima e, dopo l’unificazione del 14 dicembre 1862, Vallo della Lucania. Da Salerno 88 km.

 

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 Fin dal '600 si tentò di cambiare denominazione al casale sostituendo a Cornuto, che anche la più lieve inflessione nella pronuncia faceva del toponimo motivo di dileggio, con la nuova denominazione di Vallo. Ma l’antico toponimo era troppo diffuso perché se ne potesse improvvisamente cancellare il ricordo, per cui si ripiegò in un primo momento sul Cori noti dei documenti ufficiali (sigillo dell'Università). L’Antonini cercò di nobilitarne l'etimo facendolo discendere dalla legione romana dei «Cornicolari» che si sarebbe stanziata in un vallum intorno al quale sarebbe poi sorto il casale.

La più attendibile derivazione del toponimo rimane, dunque, quella dell'anzidetta pianta, come del resto è avvenuto per Ceraso, Cannalonga, Castinatelli, Perito, luoghi in cui si trovavano piante che attecchivano nelle diverse località crescendovi rigogliose. I cornioli abbondavano anche nei pressi di Gioi, per cui esisteva ancora nel 1743 la località «Lo Cornito», e nei pressi di Capaccio, a Corneto, un grosso casale ubicato su un colle all’imbocco della piccola Valle di Fasanella.

La località, già in età greca, era un nodo viario di grande importanza strategica se Velia, a guardare le ubertose terrazze che dalle falde di Novi digradano verso sud-ovest, rafforzò, con quello della Civitella, anche il colle di Novi. Certo è che scavi antichi e recenti di palazzi continuano a riportare alla luce ripostigli di monete romane, il che confermerebbe i suddetti richiami storici. È certo, comunque, che verso la metà del X secolo la località fu raggiunta da monaci italo-greci. La intestazione della chiesa a S. Pantaleone e l'uso in essa del rito greco, costituiscono un indizio notevole circa la presenza nel luogo di una comunità bizantina. Ma l’elemento più probante lo si trova in una pergamena del 1052, custodita nell'Archivio cavense, con la quale Moscato, abate del monastero italo-greco di S. Sofia di Salerno da in affitto a «nicolaus presbiter et monachus filius quondam leonti monachus integrum monasterium bocabulum sancte beneri de locum curnitu pertinentem eidem ecclesie».

Il documento del 1052 però, ci informa che in quel momento il gastaldo Berteraimo risiedeva «in loco curnitu». Evidentemente il luogo era stato scelto dal funzionario non solo perché costituiva un nodo viario facilmente accessibile, ma anche perché rappresentava un vero e proprio polo di sviluppo economico di cui il mercato, che si vide fiorire sempre più in età normanna, ne costituiva un solido punto di forza.

La crescita economica del casale mantenne anche negli anni successivi un ritmo sostenuto se, appena al di là del «flubio Nobe» (poi Stellettani, Barchera, la Varchera, odierno torrente Fabbrica), si erano riuniti altri nuclei di famiglie che assunsero presto la dimensione di un altro casale che prese nome dal termine d'incerta origine Spio e che continuò a fruire dello sviluppo di Cornito. Fu però in età normanna che questo ultimo raggiunse l'apice della sua crescita produttiva, quando, proprio in omaggio alla sua felice posizione geografica i signori di Novi vi trasferirono il mercato del borgo, che si svolgeva nelle ore antimeridiane della domenica, mentre negli altri giorni continuava a tenersi a Novi, sede della baronia. Fin dai tempi di Federico II la popolazione del contado, cioè dello «stato», affluiva ogni domenica a Cornito per fare acquisti o vendere della merce.
 
La prosperità del casale sollecitava le ambizioni di molti, che non tralasciavano occasione per assicurarsene il possesso. Sembra che re Ferrante l'avesse donato, insieme a Sala e a Salella, ai della Ratta, conti di Caserta e baroni di Castellammare della Bruca (Velia). Il conte Giovanni aveva sposato Anna Orsini dei principi di Salerno, da cui nacque Caterina che sposò Cesare d'Aragona, figlio bastardo del re. E pare che proprio il conte Giovanni avesse offerto il feudo e il casale alla Santa Casa dell'Annunziata di Napoli. Vi sono però altri documenti che ci informano che la donazione alla Santa Casa sia invece avvenuta nel 1445, con atto rogato nel castello di Roccagloriosa, ad opera di Francesco Sanseverino, barone di Cuccaro, mentre da un contratto di affitto del tempo, si apprende che la Sacra Casa napoletana, non avesse il possesso completo del casale ma soltanto la giurisdizione civile e mista.

Altre fonti ancora ci informano che Cornito, con Sala e Salella, passò poi al figliuolo di Giovanni de Licteriis, Daniele, deceduto il 25 aprile1426. Il duca Giovanni Antonio di Marzano l’1 marzo 1431 investì del suffeudo il figliuolo di quest'ultimo, Francesco, che ebbe l'assenso della regina Giovanna II l’1 luglio 1434, e poi da questi a Littorello de Licteriis. L'11 aprile 1445 successe la figlia Lionetta che con l'investitura ebbe pure la facoltà di dare a miglioria la starza di Gioi e la foresta dei Cigliuti.

A seguito della ribellione di Marino di Marzano, Lionetta, temendo che re Ferrante potesse sequestrarle i suddetti casali, il 20 aprile 1464 lo supplicò perché gliene confermasse il possesso affermando di averli ricevuti per successione paterna. Cosa che il re fece con la solita clausola «fidelitate nostra». Il 20 giugno 1476 Lionetta, autorizzata anche dal marito Giovanni Antonio Morra, nobile napoletano, donò Cornito, con atto del notaio Aniello de Pillelis di Castelforte, residente a Napoli, alla Santa Casa dell'Annunziata con annesso la giurisdizione civile, le gabelle di piazza, la bagliva di Sala e Salella, territori, molini, trappeti, e altre proprietà, con la clausola, però, che non li vendessero.

La Casa dell'Annunziata, oltre ad interessarsi del mantenimento degli ospedali, aveva creato nel 1538, per contrastare l'attività usuraia del tempo, un Monte di Pietà.

Nel 1756 il Maresca affittò i diritti vantati su Vallo al magnifico Barnaba Pinto per 200 ducati annui, cui però il marchese di Novi non consentì l'esercizio della giurisdizione mista. A Stefano Maresca successe Giuseppe Maresca che nominò il dr. Nicola Lettieri suo Vicario a Vallo. Il barone pretese che l'Università pagasse per lui le Regie Collette, cosa che il Parlamento locale non volle accettare e diede incarico a Paolo Pignataro, capo eletto, perché portasse la questione innanzi al Sacro Regio Consiglio. Quando poi la Corte marchesale, oltre ad usurpare la giurisdizione mista, pretese nel 1788 anche la giurisdizione civile e altri diritti, Vallo si unì al Maresca dando facoltà al sindaco, Nicola Lettieri, di difendere i diritti del Maresca e costringere Novi a rendere conto dei terraggi della montagna e del fitto della foresta. I Maresca conservarono il possesso del casale fino all'abolizione  della feudalità.

Per l'avvento di Giuseppe Bonaparte sul trono di Napoli il 15 febbraio 1806, l'Amministrazione il 4 maggio dello stesso anno scelse quali suoi rappresentanti per gli auguri al re i dottori Nicola e Salvatore de Mattia. Il 20 luglio 1806 i borbonici di Vallo e Spio insorsero. Una banda capeggiata da Nicola Passero si attestò a Sant’ Antonio minacciando Vallo, cui poi si aggiunse quella di Santa Barbara capeggiata da Tiberio Testa. Questi, però, desistette dal continuare nell'azione contro il nuovo regime su consiglio del duca Mongroveio, mentre il Passero non volle sentir ragioni e finì impiccato a Roccagloriosa.

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