Il borgo sorge tra i Monti Alburni e la vetta della Maddalena, nel Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Attraverso suggestivi sentieri è possibile giungere fino al Monte Carmelo da cui si può godere di una meravigliosa vista sul Vallo di Diano. Sono tante le attività sportive che il visitatore può praticare a contatto con la natura come il trekking, parapendio, deltaplano oppure può scegliere di passeggiare in tranquillità per beneficiare dell’aria salubre e del suggestivo panorama.
Il paese ha origini molto antiche come testimonia un documento risalente al 1136. Probabilmente è sorto a seguito dell’insediamento degli abitanti di Teggiano che, per sfuggire alle invasioni saracene, si stanziarono in questa zone fondando il borgo Serrone, il nucleo più antico del comune. Vi sono numerose chiese di diverse epoche presenti in vari punti caratteristici del paese, raggiungibili percorrendo stradine e salendo scalini in pietra. Per ricordare il diffuso fenomeno del brigantaggio, ogni anno ad agosto si celebra la festa del “Brigante Tittariello”, a ricordo del famoso brigante del Giovan Battista Verricella detto Tittariello. In questa occasione si ripropone lo scontro tra i soldati e i briganti mentre le botteghe promuovono i prodotti tipici artigianali nei vicoletti antichi del borgo.
Il villaggio sorge a non molta distanza dalle grotte preistoriche di Pertosa. Sono stati rinvenuti frammenti in loco di ceramica figurata e un vaso ionico (cratere). Il nome del villaggio deriva dal santo romano (354), che fu poi alla corte di Teodosio e poi anacoreta in Egitto dove morì. Elevato agli altari ebbe culto di rito greco. Eponimo della locale chiesa e del cenobio di religiosi italo-greci che avevano una particolare venerazione per il santo anacoreta. L’arrivo è da porre verso la fine del IX secolo. Il primo insediamento fu sulla collina (località Serrone). Mancano notizie del luogo in età longobarda.
Nel 1136 il Conte di Marsico Silvestro Guarna donò la chiesa di S. Maria Maggiore all'abate Simeone e «totum et integrum tenimentum ecclesie sancte marie, casalis sancti arsenii, cum casali ipso et cum omnibus hominibus redditibus». Il documento, se autentico, è da segnalare per le specifiche concessioni (pascolo, fida, selve, libertà per gli uomini di offrirsi con tutti i loro beni all'Abbazia, ecc.). Questa ebbe di Sant'Arsenio solo la giurisdizione civile e mista, mentre la giurisdizione criminale continuò a essere esercitata dai Conti di Marsico.
Da Silvestro i feudi passarono (1180) al figlio Guglielmo (o Goffredo) che gli successe Guglielmo II (m. 1163) e poi a Filippo, al quale vennero avocati i beni per ribellione. Enrico di Sanseverino, figlio di Ruggiero I, che aveva sposato Sica, figlia di Pandolfo di Capaccio, fratello di Guaimario IV, sposò Isabella Guarna, figlia del conte Silvestro II Enrico ottenne dì poter acquistare i beni prima che fossero devoluti al fisco. Egli tenne così la contea maritali nomine, mentre il figlio Guglielmo, poi contestabile e giustiziere, ebbe la contea di Marsico e la baronia di Diano di diritto.
La chiesa e il monastero di Sant'Arsenio (priorato e rettoria) vennero confermati all'abate Marino ed esentati dalla giurisdizione del vescovo di Capaccio da Eugenio III (1149) e poi da Alessandro III (1168). Nell’Archivio della Badia Cavense vi sono tre documenti riguardanti Sant’Arsenio dal 1186 al 1381. Gli abati cavensi furono feudatari di S. Arsenio per le giurisdizioni loro spettanti dal 1136 al 1513, a partire cioè dall'abate Simeone che ebbe la donazione di Silvestro II Guarna, conte di Marsico. Seguì l'abate Marino che ottenne alcuni privilegi e altri abati, tra cui Balsamo, Leonardo, Tommaso, Americo, Leone, Bernardo, Filippo de Haya, Mainerio che ottenne dal vescovo di Capaccio la restituzione delle chiese della Badia usurpate, tra cui quella di Sant’ Arsenio. Si legge nei Registri di questo abate che in quel periodo Sant’Arsenio rimetteva annualmente a Cava 10 once d'oro e 10 libbre di cera. In età angioina per aver occultati 7 fuochi l'Università fu tenuta a pagare un'oncia e 22 tarì e mezzo.
Del 1366 è una lettera della regina Giovanna I al giustiziere del Regno di Sicilia per la manutenzione dei beni del casale di Sant’Arsenio e della chiesa di S. Caterina di Polla, appartenenti all'Abbazia. Nel 1370 la regina chiese al reggente la Curia d'informarsi dell'incursione fatta dal conte di Marsico, Antonio di Sanseverino nei villaggi di S. Pietro di Polla e Sant’Arsenio. Il 21 giugno 1381 i giudici Cirone di Gargano di Sant’Arsenio e Tommaso Piper di S. Pietro di Polla, nella loro qualità di sindaci rappresentanti delle due comunità prestarono, anche a nome dei propri amministrati, il giuramento di fedeltà all'abate Antonio, assicurazione di fedeltà rinnovata il 19 maggio 1382.
Il 7 agosto 1394 Bonifacio IX elevò a sede di diocesi Cava dandone agli abati cavensi la giurisdizione episcopale. Nella dote della mensa venne compresa anche la chiesa di S. Arsenio. Il 26 agosto 1405 re Ladislao confermò il feudo «nobile nominatim Ensenium Sancti Arsenii, pertinentiarum Dyani» ad Antonio Malavolta conferito da Luigi Sanseverino con l’obbligo del servizio feudale.
Nel 1472 (17 aprile, S. Arsenio) era signore di Sant'Arsenio Jacobello di Laurito, come si legge in una pergamena «de lo Laurito» che riguarda la vendita di animali suini a Nicola Barile di Sant'Arsenio; seguì il cardinale Oliviero Carafa e poi i monaci della congregazione di S. Giustina di Padova detta poi di Montecassino.
Primo vescovo di Cava e barone di Sant'Arsenio (1513 -1515) fu il cardinale Luigi d'Aragona. Gli successe il napoletano Pietro Sanfelice che ebbe anche la giurisdizione spirituale, civile e mista di Sant'Arsenio. Nel Cedolario però si legge che nel 1522 Sant’Arsenio era ancora posseduto dal monastero cavense.
Il villaggio venne poi dato a censo per d. 120 annui ad Annibale di Capua che divenne così utile signore di Sant'Arsenio. Il vescovo Sanfelice rinunciò poi al vescovado a favore del nipote Gian Tommaso Sanfelice, il quale cedette in enfiteusi la giurisdizione di Sant’Arsenio al fratello Antonio o Antonello Sanfelice per 91 scudi di camera (con assenso pontificio) che i commissari apostolici dichiararono equiparati a d. 120. Costui vendette la giurisdizione del villaggio a Bernardino de Hoyeda, governatore del principe Sanseverino di Salerno, riservando un censo di d. 120 a favore del vescovo di Cava. Il de Hoyeda ne prese possesso tramite Francesco di Prignano, barone di Aquarola nel Cilento.
I cittadini emigravano a causa della forte pressione fiscale. Il nuovo barone a mezzo del suo luogotenente pretese persino il diritto di sepoltura nella chiesa (8 carlini), per cui una supplica. Il barone aveva sposato la spagnola Maria di Lion ed aveva nominato suoi eredi i nipoti Didaco (Diego) e Giovanni, assegnando al secondo l'interinato della giurisdizione criminale affidatagli dal principe Sanseverino e a Diego la giurisdizione civile. Diego e Giovanni de Ogeda ricevettero il giuramento di fedeltà l’8 maggio 1548 dai vassalli di Sant'Arsenio nella chiesa di S. Maria Maggiore. Diego non ridusse le decime, ma solo di 5 carlini il diritto di sepoltura. Nel 1549 altra concessione di capitoli. Morto Diego nel 1561 gli successe per testamento il fratello Giovanni che prese possesso il 13 agosto 1861, ma il sindaco rifiutò di riconoscerlo se non avesse confermato privilegi e capitoli dei precedenti feudatari. Il fisco sequestrò il casale. Il barone ricorse alla Regia Camera che dispose il dissequestro per pacifico possesso.
Il 2 febbraio 1606 il marchese acquistò lo «stato» di Diano dal marchese G. Battista Caracciolo di Brienza e riunì nelle mani di un solo feudatario la giurisdizione civile e criminale di S. Arsenio.
Gli storici locali ricordano le malefatte del bandito Tittariello Verricella con la sua banda di circa 300 manigoldi.
Morto il marchese F. Antonio Villano il 3 maggio 1668 ereditarono i feudi la cugina Maria Villano e il figlio Fabio Colonna, principe di Colobraro. L'8 maggio 1683 la giurisdizione civile e mista di Sant’Arsenio venne concessa al reggente Carlo Calà per d. 5130. Il duca di Diano aveva l'obbligo, però, di versare alla mensa vescovile di Cava d. 122.80. Nello stesso anno il duca Calà cedeva per testamento la giurisdizione civile e mista al nipote Giovanni Maria Calà, conservando ai duchi di Diano la giurisdizione criminale. Questa giurisdizione, come si è detto, era rimasta ai Sanseverino, baroni di Diano.
Giovanna Sanseverino aveva avuto confermato da re Ferrante nel 1463 il possesso di S. Arsenio vita natural durante «et post eius mortem» al figlio Roberto «inter alia» la terra di Diano con i casali di S. Arsenio e di S. Pietro «que nullo modo dividi possint a iurisdictioni terrae Diani».
Il 2 ottobre 1567 a Sant'Arsenio venne stipulato un istrumento di divisione tra i casali di Sant'Arsenio, San Pietro e Diano della contrada Lago dei Carusi. Il 2 settembre 1576 Nicola Grimaldi rinunciò a favore del figlio secondogenito Merualdo alla terra di Diano con titolo di marchese. Per debiti contratti da Nicola e Merualdo Grimaldi il feudo fu messo all'asta e acquistato per d. 62.100 da Ottavio Albino per persona da nominare che era poi Giulia Caracciolo, marchesa di Brienza , la quale vi rinunciò a favore del figlio G. Battista Caracciolo. Questo, a sua volta, lo vendette a Giovanni Villano, marchese di Polla. Costui vi rinunciò a favore del nipote Giovanni. Vendita non ancora perfezionata nel 1614 se Giovanni Villano senior cedette in quell'anno la giurisdizione di pesi, misure e bagliva. Il nipote conservò la baronia per poco. L'11 novembre 1625 per sottrarsi ai debiti si fece frate (entrando nell’ordine dei chierici regolari), per cui rinunciò a favore del fratello alla Terra di Polla con titolo di marchese e la Terra di Diano e casali con quello di S. Pietro che faceva parte dello «Stato» di Polla. Passato ai Calà, Carlo Calà cercò di vendere il feudo a Camilla Pignatella, vendita che non poté essere effettuata per rifiuto del Regio assenso. Il feudo poi passò al fratello di Carlo, Gerolamo che era stato diseredato. Questo morì nel 1698 senza eredi per cui successe il fisco (vertenza con un parente, Adriano Calà) che sequestrò i beni concessi alla contessa Berlips, moglie di Adriano Calà, che intanto era morto, e tutrice del figlio Marcello. Morto costui (1703), la vedova M. Brigida Spinola, marchesa di Bamonte, tutrice del figlio Carlo Maria offrì altri 20.000 ducati affinché il fisco recedesse dalla lite. Devoluto il feudo di Diano alla Regia Corte (24 maggio 1703) venne accettata l'offerta maggiorata a 22.500 ducati da pagarsi in tre rate, per cui Carlo Maria ebbe il possesso effettivo dei feudi. A Carlo Maria (m. 26 dicembre 1783) successe la nipote Brigida Calà (era figlia del fratello Marcello) che aveva sposato Vincenzo Schipani che ebbe il possesso di Diano maritali nomine. Deceduto nel 1826 gli successe nel titolo il figlio Ignazio, cui seguì (1866) Guglielmo.
Il Giustiniani dice poco di Santarsiero o Santarzieri. Accenna ai 1750 abitanti presenti ai suoi tempi tutti agricoltori e pastori e ci informa delle numerazioni dal 1532 al 1669. Una grave epidemia dovette colpire il villaggio prima del 1648. La popolazione che nel 1595 contava 1065 abitanti nel 1548 si era ridotta appena a 400.
LATITUDINE: 40.2888884
LONGITUDINE: 15.066660500000012
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