E' una piccola frazione del comune di Ceraso da cui dista 3 Km. E' ubicata nel cuore del Parco Nazionale del Cilento e si estende ai piedi del Monte Gelbison.
Il suo centro storico ha la fisionomia tipica del borgo medievale, infatti la sua fondazione risale all’anno 1000. Negli anni ’80, a seguito di scavi archeologici sono stati rinvenuti reperti risalenti al IV-V secolo a.C. Il borgo è caratterizzato da tre zone poste su diversi livelli, identificati come rione Capocasale situato nella zona alta, rione Santa Maria-Daolato-La Ripa posto nel mezzo e rione Piericasale posto nella zona bassa. In tutti e tre i livelli è possibile ammirare palazzi signorili del 1700 e 1800, come ad esempio Palazzo Ferrara e Palazzo Ferolla. Non mancano edifici religiosi d’interesse storico-artistico come la Cappella della Madonna del Monte del XVIII secolo, nel cui interno sono custodite antiche statue rappresentanti la Madonna del Monte e la Madonna Addolorata. Altro fiore all’occhiello di questo borgo era la Chiesa dedicata al Profeta Sant'Elia, in stile romanico del 1200. Danneggiata durante l’alluvione del 1958, fu abbattuta e in seguito ricostruita in altra zona.
La prima notizia su S. Barbara di Novi è contenuta nel noto diploma di Guaimario IV edito dal Muratori e sempre oggetto di attento esame, per grafia e per stato di conservazione, ma anche perché è una delle due donazioni fatte dal principe su istanza della moglie, principessa Porpora. Non meno importante è un altro diploma dello stesso principe, da collocarsi dopo il 1005: Guaimario IV, nel rinnovare le concessioni fatte all'abate Luca del monastero italo-greco di S. Barbara, aggiungeva altri beni al successore, l’abate Nicola. Ambedue questi diplomi ci informano così dei tre egùmeni, Cosma, Luca e Nicola, succedutisi nel cenobio di S. Barbara tra la fine del X secolo e i primi anni del XI.
Nel diploma del 1005 è cenno esplicito di un mulino il che dimostrerebbe già in quella data l'esistenza nel luogo di un centro organizzato e quindi la preesistenza di un nucleo formatosi con l'arrivo del primo monaco bizantino che da Velia, attraverso la valle del Bruca, aveva scelto quale suo asceterio una sinuosa ripida gola erosa da quel torrente, che si trova in una località oggi denominata Tuorno.
Le particolarità topografiche del luogo fanno pensare alla probabile esistenza sul posto di una laura che riunì i religiosi che si stabilirono nei dintorni della chiesa che, come di norma, era stata elevata al centro di un terreno subito dissodato. La presenza dei monaci stimolò altre colture, la costruzione di case e fabrice, gli edifici indispensabili al funzionamento dell'azienda rurale. Edifici che via via sorsero intorno alla chiesa «constructa […] ad honorem beate martiris Barbare» da cui presero nome il cenobio e lo stesso abitato (S. Barbara della Bruca, di Grasso, poi di Ceraso). Il casale sorse non prima del IX secolo, dato che il culto della martire fu introdotto in Occidente solo verso la fine del VII secolo ed è dell'VIII la prima immagine della santa in Italia (Chiesa di S. Maria Antiqua del foro romano). Qui nacque il primo nucleo abitato, entro il quale fu presto costruita un'altra chiesa dedicata all'Annunziata, che continuò poi a svilupparsi sul declivio delimitato da due scoscesi valloni: l'odierna S. Barbara, che per necessità fisiche del terreno tende a risalire verso l'antico convento.
Nei pressi dell'antico complesso abbaziale è stata costruita la nuova chiesa parrocchiale, dopo la demolizione di quella più antica, dedicata al compatrono S. Elia, colpita anni fa da un fulmine che si abbatté sul campanile e sulla piccola sagrestia. Il «monasterium S. Barbare, ubi Cerasus dicitur» è ricordato anche nelle bolle di conferma all'abate Marino di Eugenio III da Tuscolo del 6 maggio 1149 e di Alessandro III del gennaio 1168.
Nel diploma di Guglielmo IV di Novi troviamo utili cenni per dedurre che i due cenobi di S. Mauro e S. Marina fossero congregati con quello di S. Barbara secondo i precetti di S. Teodoro Studita. Sempre nello stesso diploma è notizia dell'estensione di quei «tenimenta», delimitati «per fines et mensuras juxto pass(u) hommis mensurata». Diploma nel quale il Venieri vede la cessione all'abate Pietro anche dei «vaxalla istius castri cum omnimoda iurisdictione» e del quale si avvalse I'anno successivo (1187) l'abate cavense «Benencasa» per definire i confini della proprietà dell'abbazia nel Cilento con Guglielmo Sanseverino «iustitiarius et comestabulus» del regno. Per ordine di re Guglielmo II, che ne affidò l'incarico a tre giudici, fu infatti bloccata la graduale annessione delle terre dell'abbazia alla baronia di Rocca Cilento.
L'abbazia ebbe confermato il possesso del territorio di S. Barbara nel 1343 (Tomaso Sanseverino, conte di Marsico) e, di nuovo, nel 1595.
Tra i locali toponimi da santi bizantini o italo-greci, c’è S. Fantino, egùmeno in un monastero del Mercurion, che fa supporre la presenza a S. Barbara anche di famiglie di Cerchiara di Calabria. Ipotesi avvalorata dal fatto che nei pressi del monastero di Cerchiara è l'odierno Frascineto con terre aratorie in località Petrosa, e che un po’ oltre S. Fantino di S. Barbara è appunto una località detta Petrosa.
La guerra angioino-aragonese, che apportò tanti lutti e rovine nel Cilento, indusse l'abate Roberto nell'anno 1309 a cedere vita natural durante al «presbiter Nicolaus qui dicitur Gallucellus de Nove», che per ottenere la concessione dovette fare professione di fede all'abbazia, «casalis duo Sancte Barbare et Sancte Marine de lo Grasso», compresi i vassalli e le terre per il «censum in foro Salerni quod sit de mense septembri unciam auri unam ponderis generalis». Evidentemente il suddetto sacerdote doveva essere tenuto in particolare considerazione sia a S. Barbara che a Novi, sede feudale, se l'abate acconsentì alla stipula del contratto che equivale ad un vero e proprio investimento feudale.
S. Barbara e S. Marina continuarono a corrispondere ai baroni di Novi le regalie elencate da Guglielmo IV de Mannia nel suo diploma del 1186. La Badia di Cava oltre che la giurisdizione ecclesiastica possedeva anche quella civile e criminale dei due casali.
L'ultimo documento membranaceo cavense relativo a S. Barbara è del 1344. Il priore del cenobio di S. Marina, «Nicolaus Guerrerio de Ebulo» riceveva, per conto della Badia, il legato di una casa situata in S. Barbara.
Oltre che delle visite dell'abate Tomaso e dell'abate Maynerio è notizia di visite pastorali di molti abati cavensi dopo il Concilio di Trento alla chiesa di S. Barbara, che fu visitata nel 1812 anche dal vescovo di Capaccio mons. Speranza, forse per delega dell'abate di Cava.
Con decreto «datum Romae, ex sedibus Sacrae Congregationis pro Episcopis die 29 mensis martii 1972», il cardinale Confalonieri «dioecesis Vallensis in Lucania Episcopum, nominat et constituit Administratorern Apostolicum “ad nutum S. Sedis”, memoratarum paraeciarum (le 15 parrocchie soggette all'abbazia di Cava, tra le quali dal 1104 S. Barbara), cum omnibus iuribus, facultatibus et officiis quae Episcopis dioecesanis, ad normam iuris communis, competunt».
Con grande rammarico la popolazione locale ha visto trasferita la sua giurisdizione spirituale tenuta per 868 anni dalla beneamata badia cavense.
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