Il borgo sorge ai piedi dei Monti Alburni, nel Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Il paese è formato da tre diverse zone denominate "Sopra la terra" che è la parte alta dove si trova la Strada Provinciale; "Dentro la terra" ossia l’area intermedia del paese dove è possibile ammirare la Chiesa di Santa Maria Maggiore e il Castello feudale di cui restano solo i ruderi e "Basso la terra", la parte bassa del paese situata nella valle in cui scorre il torrente Fasanella.
Di origine medievale, il borgo è rinomato per la Grotta di San Michele Arcangelo che nell’XI secolo ospitava una comunità benedettina, anche se non si escludono precedenti stanziamenti riconducibili all’età greca. Al suo interno vi è custodita la tomba dell’abate Francesco Caracciolo e la bellissima statua in marmo raffigurante San Michele Arcangelo. L’accesso è rappresentato da una porta sorvegliata ai due estremi da un leone e una leonessa di età arcaica. Meritano menzione anche l’antica scultura in pietra denominata “Guerriero di Costa Palomba” risalente al IV secolo a.C., la cascata dell’Auso e i meravigliosi boschi di faggi che costituiscono il polmone verde del territorio.
Nell'antica «valle pestana», poi detta di Fasanella, solcata da quattro fiumi e molti torrenti, era Fasanella cinta di mura con a nord la rocca, sede della contea di Fasanella e Corneto.
Pandolfo, conte di Capaccio e Corneto e fratello di Guaimario V, aveva avuto da Teodora di Tuscolo, tra i tanti figliuoli, anche Giovanni, al quale, nella divisione della contea dopo l'assassinio del padre, accorso a difendere il principe sulle rive salernitane, spettò Corneto. Giovanni sposò Ageltruda di Sessa, da cui nacque Giordano che possedeva ancora Corneto nel 1137. Altri documenti cavensi concorrono a chiarire l'intricato succedersi dei signori locali. Malfredo, conte del castello di Fasanella, con diploma del 1086 donò ad Atanasio, igumeno di un monastero da costruire vicino alla chiesa di S. Nicola di Frasso, la chiesa stessa, mulini e terre circostanti. Documento importante perché ci informa del sorgere del «monastero di S. Nicola di Frasso», di cui si legge ancora in un documento del 1134. Con questo diploma, Lampo di Fasanella, figlio del fu Guaiferio, e la moglie Emma, donarono all’abbazia di Cava, con il consenso del vescovo di Paestum, Alfano, del suo capitolo e del suo clero, la chiesa di S. Nicola «de lo frassu», chiesa preesistente al diploma del 1086 e senz'altro di fondazione italo-greca, come si evince dalla sua donazione a un igumeno.
Nel 1183, Tancredi di Fasanella donò la chiesa di S. Lorenzo al monastero e alla chiesa di S. Nicola «de lo frasco» della Badia cavense, ad accrescere i beni di quel monastero e di quella chiesa. Anche questo diploma è interessante, oltre che per l'anatema in caso di molestie al possesso o di evizione, soprattutto per il predicato di alcuni militi presenti all'atto che confermano l'esistenza di villaggi scomparsi ivi esistenti.
Tancredi e il fratello Guglielmo erano figli di Guglielmo, milite, che dal villaggio di Postiglione, aveva preso il predicato. Guglielmo aveva avuto infeudata la baronia, iure francorum e perciò indivisibile, di Postiglione, Aquara, Castelluccio, Civita Alburno, Controne, Corneto, Pantoliano, Ricigliano, San Zaccaria, Selvanegra e Serre. Dalla moglie, maritali nomine, ebbe la divisibile baronia longobarda di Fasanella con Albanella, Capaccio, S. Pietro, Corneto, Ottati, Roccadaspide e Santangelo. Tancredi ebbe due sole figlie, Alessandrina e Filippa. La prima sposò Pandolfo di Fasanella portandogli in dote lo «stato» di Fasanella, Filippa sposò il fratello di Pandolfo, Riccardo, portandogli in dote lo «stato» di Postiglione. Come è noto Pandolfo e Riccardo furono tra i congiurati di Capaccio, per cui Federico II ne avocò i beni facendo radere al suolo molti villaggi, tra cui Fasanella. Non tutti però, concordano sulla distruzione di questo abitato. Vi sono alcuni documenti che proverebbero che Fasanella era esistente anche dopo, forse perché ricostruito dalla popolazione, la quale finì poi per abbandonarlo trasferendosi a Sant'Angelo. Dal verbale della visita dell'abate Tommaso al monastero di S. Nicola si legge della consistenza di quel cenobio.
Ai tempi di Federico II oltre Pandolfo (era stato capitano imperiale in Toscana; dopo la sua fuga a Roma venne onorato dal papa; ai tempi di re Carlo fu senatore romano, vicario nel Principato, giustiziere a Bari, governatore di Capua nel 1275 e giustiziere in terra d'Otranto), tra i Fasanella vanno ricordati Teobaldo Francesco, Riccardo e Roberto (uccisi da Federico II), Matteo (poi giustiziere in Val di Crati e Terra Giordana), Landolfo e Gilberto esentati dal servizio feudale, e Tommaso, creato cavaliere e richiamato dal servizio feudale in Acaia per accompagnare re Carlo nel suo viaggio in Sicilia e poi maresciallo a Roma nel 1271.
Dal Liber inquisitionum si apprende di Pandolfo e di Riccardo, i cui beni vennero confiscati da Federico II. Come si è detto Pandolfo riuscì a sfuggire alla cattura e a riparare a Roma; Riccardo e Roberto subirono le mutilazioni descritte da Walter Okra in una accurata relazione al suo re d'Inghilterra e la orribile morte che ne seguì, di cui si dice nel Collenuccio .
La moglie di Pandolfo, Alessandrina, era intanto morta senza prole. La sorella secondogenita Filippa, che aveva sposato Federico Tommaso di Saponara deceduto subito dopo, rimasta vedova e scampata in esilio riprese marito sposando Gilberto di Fasanella. A costoro, dopo la morte dell’imperatore, vennero concessi i feudi di Corneto, Roccadaspide e Albanella, feudo quest'ultimo assegnato poi al cugino di Filippa, Riccardo, che morì senza eredi ai tempi di re Manfredi, per cui Albanella tornò alla Corona e da re Manfredi fu poi donato al conte Giordano Lancia.
Gli altri feudi erano stati concessi da Re Manfredi a Giovanni da Procida, il quale aveva sposato Pandolfina, figlia di Giulio di Postiglione. Questi continuarono a possedere tutti quei feudi fino all'avvento di Carlo d'Angiò che li restituì a Pandolfo. Dal processo di reintegra si apprende sia del numero degli abitanti (104 fuochi: ab. 520) che del valore della baronia. Pandolfo ebbe così restituiti Aquara, Albanella, Bellosguardo, Campagna, Castelluccia, Controne, Genzano, Roccadaspide e le contee di Fasanella e di S. Pietro in Galatina. Gli appartenevano ancora i feudi di Contursi e di S. Severino di Camerota che re Carlo concesse poi a Tommaso Sanseverino. Pandolfo morì senza eredi, per cui tutti i suoi beni tornarono alla corona (a. 1284) che li concesse (a. 1291) a Tommaso Sanseverino.
A Tommaso successe Errico che sposò Ilaria di Lauria, la quale tenne la baronia dopo la morte del marito, disponendo di Postiglione, Fasanella e Serre. In quel periodo si accese una lite per Fasanella, con Tommaso, conte di Marsico, tutore di Tommaso, primogenito di Errico Sanseverino. In un istrumento redatto il 15 settembre 1371, a richiesta della chiesa di Fasanella, i testimoni erano tutti sacerdoti di quel villaggio.
Di Fasanella sono poi ancora notizie in alcuni inventari. In uno del 1339 risulta che ne era signore Ruggiero di Sanseverino e che Sant’Angelo era tenuto in suffeudo da Bartolomeo di Sanseverino; da un altro del 1412 si evince che castellano di Fasanella era Pirano di Scalea, al quale venne poi concesso, un suffeudo; dall’inventario del 1420 si rileva un'unione di interessi tra Fasanella e Bellosguardo.
La baronia di Fasanella ormai consistente in Fasanella, Santangelo, Bellosguardo, con i casali di Ottati, Ottatello, Civita e Contursi, passò poi a Predicasso Barile, il quale nel 1426 la vendette a Tommaso di Sanseverino, con assenso della regina Giovanna II. La baronia fu tenuta dai Sanseverino fino al 1528 quando il duca di Martina, G. Battista Caracciolo l’acquistò dal principe di Bisignano, Pietrantonio di Sanseverino; la baronia era allora costituita da Santangelo, Ottati, Ottatello, Civita, Contursi e Postiglione. Pare che nel 1530 la baronia fosse stata in possesso di Michele Soria. Ma da un privilegio di Bellosguardo risulta che nel 1532 ne fosse signore Alfonso Caracciolo, confermato poi a Giacomo Caracciolo il 20 ottobre 1543. Nel 1549 e nel 1557 ne era signore Petraccone Caracciolo, duca di Martina, il quale nel 1558 vendette la baronia a Porzia Caracciolo. A questa gli successe il figlio Cesare Loffredo che l'8 gennaio 1565 vendette la baronia di Santangelo, Ottati e Ottatello a Marcantonio Pepe. Costui la diede poi in dote alla figlia Porzia che nel 1581 sposò Belisario Acquaviva d'Aragona; costoro vendettero la baronia nel novembre del 1594 a Lucrezia della Marra.
Va segnalato che dal 1598 manca ogni notizia di Fasanella. Il Giustiniani ci assicura che da quell’anno è solo notizia di Santangelo a Fasanella per la vendita della duchessa di Nardò a Lucrezia della Marra di Santangelo a Fasanella e Ottati con il casale di Ottatello per d. 22.000. Nel 1662 i creditori chiesero I'amministrazione giudiziaria della baronia, poi venduta all’asta.
L'acquistò Giacomo Capece Galeota, Reggente del Collaterale che il 21 ottobre del 1664 vi ottenne il titolo di duca, costui sposò Eleonora Carafa, figlia del principe Luigi di Castel S. Lorenzo, da cui nacque, tra gli altri, Francesco che ereditò i feudi. Gli successe Giacomo che ebbe solo due femmine (Cornelia e Antonia). Cornelia sposò Fabrizio Spinelli,conte di Bovalino, duca della Castelluccia e di Altavilla, il quale divenne così maritale nomine duca di Santangelo, Ottati, Bellosguardo, Civita e Corneto. Dopo tre anni Cornelia, senza prole, rimasta vedova sposò Luigi Sanseverino, principe di Bisignano, il quale maritale nomine divenne duca di Santangelo e degli altri feudi.
Dopo la morte dei genitori Francesco vendette Ottati, Bellosguardo e Civita (a. 1774) a Tommaso Mariconda, principe di Caraguso, morto a Ottati il 16 novembre 1777, a costui successe il fratello Andrea. Santangelo, però, rimase ai Capece Galeota per refuta della madre Cornelia, principessa di Bisignano, e di Antonio Capece Galeota. Per rinunzia di Fabio (27 marzo 1784) sia Santangelo, con il titolo di duca, che il feudo denominato Corneto, o Corleto, passarono al fratello Luigi. Questi, con Real Privilegio del 26 ottobre 1781, ottenne legale intestazione nel Cedolario (27 marzo 1784).
Alla sua morte, feudi e titoli passarono al figlio Francesco Maria (n. 22 ottobre 1783 - m. 15 maggio 1838) e da questo al figlio Carlo (n. 17 febbraio 1824 - m. 14 agosto 1898), il quale, con decreto ministeriale del 15 febbraio 1888, ne ottenne il legale riconoscimento, unitamente a quello di patrizio napoletano.
Poche le notizie nell'Antonini, il quale si limita a dire che «il casale deve il suo nome alla grotta di S. Michele Arcangelo, dove si rifugiò la popolazione di Fasanella, allorché ai tempi di Federico II fu smantellata».
Il Giustiniani pone il villaggio in luogo cretoso e petroso, bagnato dal Fasanella che animava mulini e gualchiere gettandosi poi nel Sele.
LATITUDINE: 40.4574306
LONGITUDINE: 15.343966000000023
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